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Sant' Angilberto di Centula Abate di Saint-Riquier

18 febbraio

750 - Saint-Riquier, Francia, 18 febbraio 814

Fu un importante personaggio della corte di Carlo Magno. Inizialmente un cortigiano mondano, si innamorò della figlia dell'imperatore, Berta, e da lei ebbe due figli. Carlo, pur non approvando la relazione, concesse ad Angilberto l'abbazia di Saint-Riquier, in commenda. Angilberto, colpito da una grave malattia, fece voto di abbracciare la vita religiosa se fosse guarito. Guarito, si ritirò a Saint-Riquier, dove fu eletto abate. Da abate, condusse l'abbazia a una nuova fioritura, erigendo tre nuove chiese e ottenendo dal papa il rinnovo dei privilegi dell'abbazia e l'esenzione dalla giurisdizione episcopale di Amiens. Angilberto fu anche un importante ambasciatore di Carlo Magno presso il papa, in particolare per la questione dell'iconoclastia. Nel 800, in occasione dell'incoronazione di Carlo a imperatore, Angilberto fu uno dei quattro testimoni del testamento dell'imperatore. Angilberto morì a Saint-Riquier il 18 febbraio 814, a soli 64 anni.

Martirologio Romano: Nel monastero di Centule nel territorio di Amiens in Francia, sant’Angilberto, abate, che, abbandonati gli incarichi di palazzo e militari, con il consenso della moglie Berta, che prese lei pure il sacro velo, si ritirò a vita monastica e resse felicemente il cenobio di Centule.


Sant'Angilberto, nato verso il 750, fu un importante personaggio della corte di Carlo Magno. Educato alla corte, divenne amico, confidente, consigliere e segretario dell'imperatore.
Nel 781, quando il piccolo Pipino fu incoronato re d'Italia, Angilberto ne divenne l'addetto, con il titolo di primicerio di palazzo. In seguito, fu nominato conte di Ponthieu e abate laico di Saint-Riquier.
Nonostante la tonsura, Angilberto condusse una vita dissoluta e si innamorò della principessa Berta, figlia di Carlo Magno. I due ebbero due figli, Armida e Nitardo. Carlo Magno, che non era un modello di moralità, non permise ai due amanti di sposarsi, ma concesse ad Angilberto la commenda dell'abbazia di Saint-Riquier.
Dopo una grave malattia e una vittoria sui danesi, Angilberto decise di abbracciare la vita religiosa. Divenne sacerdote e poi abate di Saint-Riquier.
Nel 792, Angilberto condusse a Roma il vescovo di Urgel, Felice, condannato per eresia. Nel 794, sottopose al giudizio del papa i "Libri Carolingi", che ribadivano la condanna all'iconoclastia. Nel 796, consegnò al papa parte dei tesori conquistati dall'esercito franco.
Dopo l'ultima missione a Roma, Angilberto si ritirò nella sua abbazia, dove si dedicò alla vita religiosa e alla ricostruzione dell'edificio.
Nel 800, Angilberto seguì Carlo Magno a Roma per l'incoronazione a imperatore.
Angilberto morì il 18 febbraio 814, ventidue giorni dopo la morte di Carlo Magno. Fu sepolto davanti alla porta principale della basilica conventuale di Saint-Riquier.
Nel 1100, papa Pasquale II lo canonizzò.

Autore: Franco Dieghi
 


 

Sant’Angilberto nacque verso il 750 da un ignoto signore della corte di Pipino il Breve, re dei Franchi e proprio a corte fu educato. Qui entrò presto in relazione con il principe ereditario, il futuro Carlo Magno, del quale divenne amico, confidente, consigliere e, a quanto pare, anche segretario. Quando nel 781 il piccolo Pipino, nipote del precedente, di appena quattro anni, fu incoronato a Roma re d'Italia da Papa Adriano I, Angilberto divenne l’addetto al regale fanciullo, con il titolo di primicerio di palazzo, nella cui veste egli poteva esercitare vaste funzioni in campo ecclesiastico e civile. Il santo dovette avere un ruolo importante nell'educazione del giovane principe, come pure nei rapporti tra lui ed i sudditi, ma anche tra lui e l’imperatore suo padre, e nel 787 si stabilì a corte. Incaricato poi di governare la regione inclusa tra la Schelda, la Senna ed il mare, fissò la sua dimora nel castello di Centula, nella Piccardia, non distante dall’abbazia fondata nel 625 da Saint Riquier, e continuò a mantenersi in corrispondenza con l’Accademia Palatina, eretta per volere di Carlo Magno dal benedettino inglese Alcuino, della quale fece parte con il nome di Omero e la illustrò con le sue poesie di sapore retorico. Angilberto fu amico di San Guglielmo d’Aquitania, San Benedetto d’Aniane e Sant’Adalardo. Egli corrispose in prosa ed in poesia anche con i sapienti del tempo, tra cui il suo professore di grammatica, Pietro da Pisa, e Teodulfo, vescovo di Orléans, teologo e poeta, uno dei principali esponenti della rinascita carolingia.
La vita di Angilberto, benché egli avesse ricevuto la tonsura, non era molto dissimile da quella degli altri cortigiani quanto a vizi e mondanità. Alcuino stesso ne rimase scandalizzato e non mancò di fargli le sue rimostranze. Angilberto però, anziché rinsavire, si innamorò della principessa Berta, figlia di Carlo Magno, dalla cui unione nacquero due figli, Armida e Nitardo, quest’ultimo storico ed abate di Saint-Riquier. Il sovrano, che quanto a moralità egli per primo non dava un grande esempio, non permise ai due amanti di sposarsi, ma in premio dei servizi che lo pseudogenerogli aveva reso nel campo amministrativo, gli concesse in commenda l’abbazia di Saint-Riquier. La nuova carica moltiplicò i suoi introiti, senza comunque interferire nella sua vita secolare. Con il tempo iniziò a nutrire una profonda venerazione verso San Richiero, dispensatore di potenti miracoli verso i devoti che accorrevano a venerarlo, e colpito da una grave malattia, pensò dunque di fare egli stesso un voto: se fosse guarito avrebbe intrapreso la vita religiosa nell’abbazia di cui egli stesso era già abate commendatario. La sua preghiera fu esaudita, ma non appena si ristabilì in forze fu impegnato nel difendere le sue terre dalle invasioni dei danesi. La grande vittoria che riportò su di loro, che attribuì nuovamente all’intercessione del santo, lo convinse a soddisfare il voto.
A Saint-Riquier-sur-Somme Angilberto divenne sacerdote ed edificò tutti i confratelli con la sua umiltà e l’esercizio della penitenza. Alla morte dell’abate Sinforiano, i monaci all’unanimità lo elessero abate, con la piena approvazione di Carlo Magno, anche se questi temendo che Angilberto potesse seppellire i suoi talenti nell'oscurità e nella solitudine del monastero, lo nominò suo arcicappellano e lo mandò tre volte a Roma dal papa in veste di suo ambasciatore. Nel 792 Angilberto condusse da papa Adriano I il vescovo di Urgel, Felice, condannato dal Concilio di Ratisbona perché, considerando che l’umanità assunta dal Verbo rende Gesù Cristo simile in tutto a noi, riduceva meramente ad un legame di adozione la paternità di Dio Padre nei confronti del Figlio. Nel 794 il sovrano si servì nuovamente di Angilberto per sottoporre al giudizio del pontefice i “Libri Carolingi”, ribadendo la condanna inflitta dal secondo concilio di Nicea nel 787 all’iconoclastia. Il nuovo papa, San Leone III, subito dopo l’elezione incaricò dei legati di portare a Carlo Magno le chiavi della confessione di San Pietro e lo stendardo della città di Roma, per testimoniargli come continuasse a considerarlo protettore della Chiesa e patrizio dei romani. Allo stesso tempo lo pregò di inviargli qualche suo cortigiano perché ricevesse in suo nome il giuramento di fedeltà e di sottomissione del popolo romano. Nel 796 Carlo inviò per una delicata missione ancora una volta Angilberto, che consegnò al papa buona parte dei tesori appena conquistati dall’esercito franco del duca friulano Errico, utili per restaurare ed abbellire le basiliche di Roma e il palazzo del Laterano, allora residenza pontificia.
Anche ad Angilberto spettò parte di quel tesoro ed egli se ne servì per ampliare ed arricchire la sua abbazia, nonché per dotarla di una biblioteca. Dopo l’ultima missione il santo si distaccò drasticamente dalla corte e dal mondo onde dedicarsi alla vita interiore, ristabilire innanzitutto con il suo esempio l’osservanza rigolosa della regola e curare la solennità delle celebrazioni liturgiche. Non a torto Angilberto fu considerato secondo fondatore di Saint-Riquier, poiché sotto il suo governo l’abbazia conobbe una nuova fioritura. Curò l’erezione di tre nuove chiese, che dedicò rispettivamente al Salvatore, a San Benedetto ed ai santi del suo ordine, e per l’occasione fece pervenire preziose reliquie da Roma, da Costantinopoli, da Gerusalemme e da altri santuari europei. Nell’800 il futuro imperatore Carlo Magno si recò con Alcuino a celebrare la Pasqua a Saint-Riquier ed il medesimo anno Angilberto seguì il sovrano a Roma per una difficile missione in difesa del papa: in riconoscimento all’aiuto ricevuto, la notte di Natale Leone III incoronò il re franco dando così origine al Sacro Romano Impero d’Occidente.
Angilberto approfittò dell’occasione per ottenere dal papa il rinnovo dei privilegi dell’abbazia e l’esenzione dalla giurisdizione episcopale di Amiens per tutti i suoi domini. Il santo abate costituì tre cori, composti da trecento religiosi e cento fanciulli, che cantassero perennemente l’ufficio divino nelle tre chiese per la salute di Carlo e la prosperità del suo regno. Prova tangibile dell’importanza che Angilberto rivestì al tempo di Carlo Magno è la presenza del suo nome fra i quattro firmatari del testamento dell’imperatore che avrebbero dovuto vigilare sull’esecuzione delle sue ultime volontà. Carlo morì il 28 gennaio 814, ma Angilberto non gli sopravvisse che ventidue giorni: consumato dai digiuni e dalle penitenze, spirò infatti a Saint-Riquier il 18 febbraio seguente e manifestò il desiderio di essere sepolto davanti alla porta principale della basilica conventuale, per essere calpestato da quanti si sarebbero recati nel tempio a pregare. La fama di santità che lo circondava spinse i monaci ad attivarsi per la sua canonizzazione, ma solo dopo tante peripezie nel 1100 papa Pasquale II poté esaudire la loro richiesta.

 


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2024-01-16

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