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> Home > Sezione Testimoni > Elena di Savoia (Jelena Petrovic Njégos) Condividi su Facebook Twitter

Elena di Savoia (Jelena Petrovic Njégos) Regina d’Italia

Testimoni

Cettigne, Montenegro, 8 gennaio 1873 – Montpellier, Francia, 28 novembre 1952

Principessa reale del Montenegro, sposando Vittorio Emanuele III divenne Regina d’Italia e poi d’Albania ed Imperatrice d’Etiopia. In riconoscimento alla sua grande fede ed alle attività benefiche da lei sostenute, il pontefice Pio XII le conferì la più alta onorificenza prevista a quei tempi per una donna, la “Rosa d’oro della cristianità”.

Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco

Emblema: Corona, Scettro


Elena del Montenegro, ovvero Jelena Petrović Njegoš, nasce a Cettigne (Cetinje) l’8 gennaio 1873. È la sesta figlia di re Nicola I del Montenegro e di Milena Vukotić. Cettigne era allora la modesta capitale del Montenegro, infatti era poco più di un borgo di montagna, abitato da pastori.
Fu educata ai valori forti dell’unione familiare. La conversazione alla tavola dei sovrani del Montenegro si svolgeva in francese e si discuteva con eguale disinvoltura di politica e di poesia; poeta lo era anche Elena che scriveva versi e li pubblicava sulla rivista letteraria russa Nedelja, firmandosi Farfalla Azzurra.
Crebbe schiva e riservata, ma ferma nel carattere e molto determinata. Attaccata alle tradizioni, di animo sensibile e con una mente brillante e curiosa, aveva un grande amore per la natura (il suo fiore preferito era il ciclamino). Studiò nel collegio Smol'nyj di Pietroburgo e frequentò la corte degli Zar.
Nicola I imparentò tutte le sue bellissime figlie con le diverse corti reali europee. La principessa Elena fu destinata alla Casa reale d’Italia, poiché la Regina Margherita (che desiderava rinvigorire il sangue Savoia), in accordo con Francesco Crispi (di origini albanesi), decise per le sorti dell’unico figlio, Vittorio Emanuele, principe di Napoli: l’incontro tra i due giovani avvenne al teatro La Fenice di Venezia, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte. Fu dichiaratamente amore: dopo un altro incontro in Russia, Vittorio Emanuele formulò la richiesta a Nicola I di sposare colei che credeva di aver scelto personalmente, senza l’intromissione di nessuno. Elena, per potersi unire in matrimonio con il futuro re d’Italia, dovette abiurare la propria religione ortodossa.
Le nozze, molto sotto tono a causa della recente sconfitta di Adua, furono celebrate il 24 ottobre 1896: la cerimonia civile si svolse al Quirinale, quella religiosa in Santa Maria degli Angeli, alle quali la madre di Elena non partecipò, in forma di protesta all’abiura religiosa della figlia.
L'11 agosto 1900, in seguito all'assassinio di re Umberto I, Vittorio Emanuele salì al trono. La presenza di Elena accanto al sovrano si mantenne sempre umile e discreta, non fu mai coinvolta in questioni strettamente politiche, ma fu sempre estremamente dedita ed attenta ai bisogni del popolo adottivo, che fece suo in tutto e per tutto. Profuse il suo impegno in numerose iniziative caritative e assistenziali, che le assicurarono vasta simpatia e popolarità. La Regina andò ben al di là della semplice beneficenza: il suo spirito evangelico la portava a praticare ogni giorno la carità più genuina e più carica di amore per il prossimo.
Ogni giorno il corriere recapitava a Villa Savoia una grande borsa di cuoio, chiamata «la bolgetta» (parola sardo-savoiarda). Essa conteneva lettere su lettere: di ogni dimensione, di ogni formato, di ogni colore. Inchiostri di tutte le tinte; matite delle più svariate tonalità, alfabeti anche in rilievo per ciechi. Campionario pittoresco e vario che racchiudeva la richiesta umile, fiduciosa a volte disperata di chi aveva bisogno e che ricorreva alla Regina della Carità sapendo di non essere dimenticato. Le risposte non tardano ad arrivare: aiuti nascosti, ma efficaci si diramano ovunque, sanando tante piaghe materiali, ma anche morali, accresciute dalla miseria.
Per tutta la durata dell’inverno venivano aperte le cucine a Sant’Anna di Valdieri e a Trinità nella Vallegesso, in provincia di Cuneo. A tutti gli abitanti erano distribuiti minestra, pane, carne, formaggio, marmellata e medicinali. Un’infinità di giocattoli uscivano da casa Savoia e venivano indirizzati a tutti i bambini. Per non parlare degli indumenti. Metri e metri di armadi rivestivano i sotterranei della Villa: si trattava del «deposito dei poveri». Qui erano riposti vestiti per adulti, biancheria per la casa, tessuti, corredini per neonati, culle, scarpe, cappelli, sciarpe, ombrelli, coperte... tutto perfettamente nuovo.
A Roma non c’era signora dell’aristocrazia o della buona borghesia, che non lavorasse per la fabbrica della Regina, preparando indumenti, maglie, golfini, scarpette da neonato...
Durante i soggiorni estivi a Sant’Anna di Valdieri, Elena apriva un ambulatorio per i malati. Per i casi più gravi, in cui era necessaria la cura del mare, i pazienti venivano ricoverati a Villa Helios a San Remo oppure erano indirizzati ai sanatori, dove le degenze durano mesi e mesi, a volte anche anni: tutto a spese di Casa Savoia.
Immenso fu l’aiuto che la regina diede dopo il terremoto e maremoto di Messina del 1908. La regina Elena si dedicò subito ai soccorsi, come mostrano fotografie dell'epoca. Durante la prima guerra mondiale fece l'infermiera a tempo pieno e con l’aiuto della Regina Madre, trasformò in ospedali sia il Quirinale che Villa Margherita; per reperire fondi, lei stessa inventò la "fotografia autografata" che veniva venduta nei banchi di beneficenza, mentre alla fine del conflitto propose la vendita dei tesori della corona per estinguere i debiti di guerra.
Fu la prima Ispettrice delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, dal 1911 al 1921. Studiò medicina e ne ebbe la laurea ad honorem; finanziò opere benefiche a favore degli encefalitici, per madri povere, per i tubercolotici, per gli ex combattenti.
Quando la Garfagnana, in Toscana, fu colpita dal terremoto nel 1921, Elena fece preparare a San Rossore, nei locali delle Cascine Nuove, diciassette alloggi, per altrettante famiglie rimaste senza tetto.
Quando a Roma una bambina fu vittima di un assassinio, la regina fece collocare, nel cimitero di Verano a Roma, una lastra di marmo sulla tomba della piccola, su di essa spiccava un gruppo di gigli a lunghi steli, sullo stesso bassorilievo era raffigurata una serpe che con un morso troncava un giglio, ripiegato su se stesso. In alto, Maria Santissima con Gesù Bambino fra le braccia, era pronta ad accogliere la vita spezzata. Il padre della bimba, un rivoluzionario, rimase turbato e dall’immagine e dall’epigrafe: «Qui dove giace/Rosina Pelli/vittima inespiabile/di nefanda barbarie/il pianto perpetuo del popolo/lavi l’orrendo oltraggio/gigli e rose ricordino/l’innocente anima ascesa al regno degli angeli. Elena di Savoia Regina d’Italia Q.M.P.».
Spesso si recava nei quartieri poveri di Roma e qui faceva visita sia ai diseredati che ai malati: portava denaro, consigli, conforto, carezze e quando era necessario faceva iniezioni e leggeva agli analfabeti i referti sanitari, le componenti e le posologie dei farmaci. Spesso non si faceva neppure riconoscere ed erano in molti a crederla una dama della San Vincenzo.
Promuoveva iniziative in favore della ricerca contro il cancro, del morbo di Parkinson, contro la poliomielite oppure a favore della formazione professionale delle assistenti di categoria.
Nel 1927 assunse l’alto patronato della Lega italiana per la lotta contro il cancro. A Roma venne creato, anni più tardi, l’istituto Regina Elena, un complesso clinico-ospedaliero di notevole valore, sia per le dimensioni che per la portata scientifica.
Verso la metà degli anni Venti si prodigò per arrestare l’encefalite letargica, che colpiva la corteccia cerebrale, promuovendo la cosiddetta «cura bulgara», a base di erba Belladonna, che fu però ostacolata da diversi medici, perciò la diffusione della terapia iniziò seriamente soltanto a partire dal 1934 e i risultati si dimostrarono più volte efficaci.
Dalla vicina San Rossore, Elena si recava spesso a Pisa, nella Clinica neurologica facente parte degli Ospedali Riuniti di Santa Chiara, dove incontrava i pazienti. Sorridente ed affettuosa, s’informava e rianimava, dimostrandosi amabile e tenera come una mamma.
Se le capitava di incrociare per strada un mendicante, uno squilibrato, un disperato, si fermava, oppure scendeva dalla sua vettura e dava inizio al suo intervento.
Predisposta particolarmente per lo studio delle lingue straniere, fece da traduttrice al marito per il russo, il serbo e il greco moderno, tenendogli in ordine l'emeroteca dei giornali stranieri.
Ebbe cinque figli, Iolanda, Giovanna, Mafalda, Umberto, Maria.
Si dedicò con immenso amore al marito, ai figli, alla casa, stando accanto al sovrano con dignità di chi è regina "dentro".
Il Sommo Pontefice Pio XI il 15 aprile 1937 le conferì la Rosa d’oro della Cristianità, la più importante onorificenza possibile a quei tempi per una donna da parte della Chiesa Cattolica. Il papa Pio XII nel messaggio di condoglianze inviato al figlio Umberto II per la morte di Elena, la definì «Signora della carità benefica».
Nel 1939, tre mesi dopo l'invasione tedesca della Polonia e la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna e della Francia alla Germania, Elena scrisse una lettera, toccante ed inascoltata, alle sei sovrane delle nazioni europee ancora neutrali (Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Belgio, Bulgaria e Jugoslavia), al fine di evitare all’ Europa ed al mondo l’immane tragedia della seconda guerra mondiale.
Terminata la guerra, il 9 maggio del 1946, Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto, assumendo il nome di Conte di Pollenzo e andò in esilio con Elena. La coppia reale si ritirò a Villa Jela, ad Alessandria d'Egitto, ospite di re Farouk I d'Egitto che ricambiò così l'ospitalità data a suo tempo dal re italiano a suo padre.
Durante l'esilio i due coniugi festeggiarono il cinquantesimo anniversario di matrimonio. Elena rimase col marito fino alla morte di quest'ultimo, avvenuta il 28 dicembre 1947. Tre anni dopo si scoprì malata di cancro e si trasferì in Francia a Montpellier, anche qui la popolazione ebbe modo di conoscere la «bonne Dame noire» («La buona signora in nero») che, nonostante le ormai residue possibilità economiche, continuava ad aiutare i poveri: i pescatori la conoscevano molto bene, anche perché la regina spesso andava a pescare (il suo sport prediletto). Nel novembre 1952 si sottopose ad un difficile intervento chirurgico nella clinica di Saint Cóm. Vedova, bruciata dal dolore della tragica perdita dell’amatissima figlia Mafalda (morta nel lager di Buchenwald il 28 agosto 1944), esiliata e rinnegata dalla terra a cui aveva dato tutta se stessa, Elena morì il 28 novembre 1952, povera e sola, assistita unicamente dalla fedelissima camerista Rosa Gallotti.
Fu sepolta, come suo desiderio, in una comune tomba del cimitero cittadino a Montpellier. L'intera città si fermò per assistere e partecipare al suo funerale, al quale presero parte ben 50 mila francesi. La Municipalità di Montpellier ha intitolato il viale che porta al cimitero alla regina Elena e le ha innalzato un monumento.
Per la sua vicinanza ai malati e per la sua grandissima umanità, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, il Ministero italiano delle Comunicazioni ha emesso un francobollo commemorativo con la sua effigie, associando la sua figura alla lotta contro il cancro.
Nel 1960, a ricordo del suo aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto, le fu innalzato a Messina un grande monumento in marmo bianco di Carrara, che la riproduce vestita da crocerossina, opera dello scultore Antonio Berti.


Per approfondire:
Cristina Siccardi
Elena. La regina mai dimenticata
Ed. Paoline


PREGHIEA PER LA BEATIFICAZIONE
composta da S.E. mons. Louis Boffet

Seguendo Gesù Cristo
Amico e Servitore dei poveri,
Ella non ha cessato di crescere
in carità e in santità.
Noi ti domandiamo di coronare
i Suoi meriti
nella gloria del Tuo cielo.
E Tu, Serva di Dio,
intercedi per noi.
Veglia sui nostri figli
e sulle nostre Patrie.
Ottienici, sul Tuo esempio,
la generosità nella prova
e la prontezza nel servizio per gli altri:
vera espressione della carità di Cristo.
E Tu, che hai vissuto intensamente
la lacerazione tra i cristiani,
pacifica gli spiriti,
placa i rancori
e che la Pace infine rifiorisca.
Signore, noi Te lo chiediamo
per Gesù Cristo
che regna nei secoli dei secoli.
Amen.


Autore:
Cristina Siccardi

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Aggiunto/modificato il 2001-02-01

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