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Beata Maria Raffaella (Santina) Cimatti Vergine

23 giugno

Faenza, Ravenna, 6 giugno 1861 - Alatri, Frosinone, 23 giugno 1945

Martirologio Romano: Ad Alatri nel Lazio, beata Maria Raffaella (Santina) Cimatti, vergine, delle Suore della Misericordia per gli Infermi, che condusse una vita umile e nascosta, adoperandosi con cordiale carità e costante attenzione specialmente per i malati e i poveri.


Mamma ha un bel ripeterle di liberamente seguire la sua strada e di non sentirsi vincolata a lei e alle sue necessità: Santina proprio non se la sente di lasciarla, cadente e bisognosa di cure com’è, per seguire la sua vocazione.
Anche se sa benissimo che il Signore aspetta da lei una totale consacrazione, come d’altronde le confermano quanti sono a lei più vicini, a cominciare dal suo parroco: «Il tuo cuore appartiene già a Dio ed il suo a te. Verrà il giorno in cui, superate le attuali difficoltà, potrai finalmente dedicarti solo a lui».
Il fatto è che dei sei figli che mamma ha avuto, tre sono andati subito in paradiso e dei tre rimasti soltanto lei può prendersene cura, dato che i due maschi, cui lei ha fatto da mamma dopo la prematura morte di papà, sono entrati dai Salesiani: Luigi, fratello coadiutore in Perù, morirà nel 1927 in fama di santità; Vincenzo, fondatore delle missioni salesiane in Giappone, è adesso “venerabile”, cioè ad un passo dalla beatificazione. Una famiglia di santi, insomma, e lei non è da meno, a cominciare dal suo nome che è già un programma di vita.
Alla soglia del suo ventottesimo compleanno, quando cioè proprio non ce la fa più ad aspettare, va a sfogarsi dal suo parroco, trovando in lui una provvidenza insperata: il buon prete, pur di lasciarla andare per la sua strada, si offre di accogliere in canonica l’anziana mamma, promettendo di prendersene cura come fosse la sua.
Solo così le porte del convento si spalancano per Santina: entra il 4 novembre 1889 tra le Suore Ospedaliere della Misericordia di Roma, che sembra proprio il posto fatto per lei, che di misericordia nella vita ha già ben dimostrato di averne.
Se ne accorgono anche le superiore, che secondo l’uso del tempo ne saggiano la vocazione facendole fare il noviziato in corsia, subito a diretto contatto con i malati. Con l’entusiasmo dei neofiti, si divide nelle mille mansioni di apprendista- infermiera-tuttofare, correndo da una branda all’altra, con il suo inossidabile sorriso e la sua imperturbabile serenità.
La prova è superata “a pieni voti”, se l’8 dicembre 1890 viene ammessa alla vestizione religiosa, ma non è un fuoco di paglia. Insieme all’abito le danno il nome nuovo di suor Maria Raffaella e da allora è colpa di quel nome, spiega a chi le rimprovera il troppo spendersi per gli altri e le chiede di risparmiarsi un po’, perché «il mio nome, come sta scritto nella Bibbia, è sinonimo di premuroso accompagnatore e di medicina di Dio; che brutta figura farei fare al mio protettore, San Raffaele, se non assistessi i malati con tanta cura!».
Alle suore della Misericordia, oltre ai tre voti tradizionali, viene chiesto il quarto voto “dell’ospitalità”, che le impegna a servizio dei malati e dei sofferenti. Il carisma specifico della Congregazione assume però in lei sfumature di straordinaria tenerezza e di materna dolcezza, sicuramente ereditate nell’ambiente familiare in cui ha fatto il suo primo tirocinio.
I malati se la contendono chiamandola “mamma”, tutti la conoscono come «angelo dei malati»; quando la eleggono superiora (prima a Frosinone poi ad Alatri) si rivela «madre, sorella, amica, consigliera, sempre pronta e disponibile, modello esemplare di ogni virtù».
La sua giornata inizia molto prima dell’alba, verso le 3,30, perché in lei il sonno è ridotto all’indispensabile; prosegue con ritmo serrato tutto il giorno e «nelle ore pomeridiane sostituisce le suore di turno per dar loro la possibilità di riposare».
Fare o rammendare le calze delle consorelle è il passatempo preferito di questa superiora instancabile, impegnata nel testimoniare che «l'ospedale non è solo il luogo, dove si soffre e muore, ma è anche l’ambiente dove si possono esercitare le più squisite virtù umane».
Alla soglia degli 80 anni cede il bastone “del comando” (che in lei è soprattutto stato la “stampella” del servizio), restando nella comunità di Alatri come semplice suora, sempre impegnata nei più umili servizi.
Nel suo lento declino di donna ormai curva e claudicante un’ultima uscita pubblica nel 1944, per strappare al generale Kesserling il cambiamento del suo piano strategico di contrasto all’avanzata degli Alleati ed evitare così il già programmato bombardamento di Alatri.
Non più soltanto “angelo” dei malati ma di tutta la città, si spegne il 23 giugno 1945 senza esaurire la sua scorta di misericordia, che ancora continua a spargere sotto forma di intercessioni, grazie alle quali suor Maria Raffaella Cimatti è stata proclamata beata il 12 maggio 1996.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Nello spirito dei tempi moderni questa suora ha svolto con intelligenza e serenità un servizio costante ed eroico in favore degli afflitti e degli ammalati. "Quando non era intenta alla cura degli ammalati, era in preghiera davanti al Sacramento; e le sue mani quando non erano al servizio del prossimo, scorrevano sui grani del Rosario".
Nella fertile terra romagnola, a Faenza, il 6 giugno 1861, da padre bracciante agricolo e da madre tessitrice, nasce Santina Cimatti; la natura la dota di un volto sorridente sereno e di belle fattezze, illuminato da occhi sereni e profondi. Può dedicare poco tempo agli studi, in quanto la famiglia ha ben presto bisogno del suo lavoro per arrotondare un po' il non prospero bilancio familiare aiuta la mamma come tessitrice, o si occupa dei lavori di casa. l due unici fratelli maschi sopravvissuti, Luigi e Vincenzo, entrano giovanissimi nella congregazione salesiana; Santina allora ritiene indispensabile rimanere vicino alla madre sino a quando troverà per lei una dignitosa sistemazione nella casa di un sacerdote.
Nel novembre del 1889 si aggrega alle suore ospedaliere della Misericordia, presso la casa madre di San Giovanni in Laterano a Roma. Assume il nome di Maria Raffaella e nel 1893 viene inviata presso l'ospedale di San Benedetto ad Alatri, dove inizia la sua professione di infermiera. Passa successivamente all'ospedale Umberto I di Frosinone, dove dal 1921 ha anche l'incarico di priora della comunità. Dal 1928 al 1940 ritorna ad Alatri sempre come priora.
Nel 1943 comincia a manifestarsi il male che si rivelerà incurabile. Muore il 23 giugno 1945.
Il campo principale di apostolato di suor Raffaella fu la farmacia, dove prestò servizio per ben trentaquattro anni; suor Raffaella però, quand'era necessario, riusciva a mettersi a disposizione dei malati e della comunità per qualsiasi occupazione.
Il lavoro tra pillole, sciroppi e a pestare nel mortaio è per Raffaella un dono di Dio: attraverso l'impegno semplice ma continuo nel quotidiano ella riesce a realizzare con esemplare dedizione il vero amore per il prossimo.
Quando la malattia bussa forte alla sua porta pensa sempre alla preghiera come mezzo di sostegno. Giorni difficili e drammatici furono quelli vissuti da suor Raffaella a Frosinone durante la guerra. Non solo confortò e avvicinò gli ammalati, ma quando percepi, attraverso le suppliche delle persone dell'ospedale che Alatri avrebbe potuto subire un bombardamento allo scopo di contrastare l'avanzata delle forze alleate, Raffaella raccolse tutte le poche energie che le rimanevano e collaborando con il vescovo riuscì a far cambiare il piano strategico al generale Kesserling: Alatri fu salva. "Miracolo! - gridarono in coro -; un angelo ha salvato la città".
Ogni giorno suor Raffaella vive la presenza di Dio nel sofferente: mai dimentica che il singolo uomo abbisogna di amore concreto anche nei piccoli fatti quotidiani. Racconta una sua paziente: "Ero giovane, ma sofferente per disturbi vari. Dopo qualche tempo fui ricoverata in ospedale per l'operazione di appendicite. Ero preoccupata e sentivo la mancanza della mamma lontana... Piangevo per questa situazione come non mai. La serva di Dio si accorse della mia profonda prostrazione morale e mi chiese: "Perché piangi?". Ed io: "Sto male e non ho la mamma...". Con tono profondamente comprensivo mi rispose: "E io non sono la mamma? Perché sto qui? Ogni suora ospedaliera deve essere la mamma di chi soffre"".
Per le proprie consorelle sa essere superiora attenta e gentile. Non pretende di essere servita, ma che ciascuno serva la comunità. Una sua consorella annota: "Non si dava arie per l'ufficio di superiora che ricopriva, ma si considerava la serva delle suore, aiutandole nel lavoro. All'occorrenza amava anche rammendare e confezionare le calze delle consorelle".
Beatificata il 12 maggio 1996. Festa il 23 giugno.


Autore:
Giuseppe Gottardo

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Aggiunto/modificato il 2016-09-22

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