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Servo di Dio Enrico Medi Padre di famiglia

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Porto Recanati, Macerata, 26 aprile 1911 - Roma, 26 maggio 1974

Enrico Medi nacque a Porto Recanati, in provincia di Macerata e diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, il 26 aprile 1911. A tre anni si trasferì con la famiglia a Belvedere Ostrense, in provincia di Ancona e diocesi di Senigallia. Compì gli studi superiori a Roma, dove ricevette una solida formazione cristiana e fu tra i fondatori della Lega Missionaria Studenti. Nel 1932 conseguì la laurea in Fisica pura con Enrico Fermi e fu assistente di Antonino Lo Surdo fino al 1937, quando ottenne la libera docenza in fisica terrestre. L’11 giugno 1938 sposò Enrica Zanini, laureata in Chimica e Farmacia: dalla loro unione nacquero sei figlie. Nel 1942 vinse la cattedra di Fisica sperimentale all’università di Palermo. Negli anni della seconda guerra mondiale, tornò per un breve periodo a Belvedere e collaborò con la Pontificia Opera di Assistenza. Nel 1946 venne eletto all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana e nel 1948 fu confermato al Parlamento. Tre anni dopo divenne Presidente dell’Istituto di Geofisica e realizzò pian piano una rete di Osservatori in tutta Italia. Chiamato nel 1952 alla cattedra di Fisica Terrestre all’Università di Roma, l’anno dopo rinunciò alla carriera politica per dedicarsi completamente alla scienza e all’apostolato. Dal 1958 al 1965 fu vicepresidente dell’Euratom: tale carica gli permise di organizzare centri per la ricerca scientifica negli allora sei paesi della Comunità Europea, facendo varare la legge per la protezione dalle radiazioni nucleari. Nel 1965 si dimise per gravi motivi di coscienza. Nell’aprile del 1970 si ammalò di tumore alla prostata: morì il 26 maggio del 1974, nella sua casa di Roma. La fase diocesana della sua causa di beatificazione, ottenuto il trasferimento della competenza dal Tribunale ecclesiastico del Vicariato di Roma, si è svolta dal 26 maggio 1995 al 26 settembre 2013 presso la diocesi di Senigallia. I resti mortali del professor Medi riposano presso il cimitero di Belvedere Ostrense, nella tomba di famiglia.



«Non era per noi soltanto un padre, ma anche un compagno di giochi. Se si giocava a bocce, dovevamo lasciarlo vincere, altrimenti rimaneva male. La sua gioia era quella di giocare a pallone con noi. Erano partite giocate con grande agonismo».
Così Maria Pia descrive sulla rivista Oggi (12 giugno 1974) il suo papà, professor Enrico Medi, grande scienziato noto in Italia e nel mondo. Era un uomo di una bontà e di una semplicità estreme. Si faceva piccolo con le sue bambine, accompagnandole a scuola e giocando con loro. Conquistava i suoi allievi con il fascino del suo sapere straordinario e della sua generosità.
Non era certo uno sprovveduto o l’ultimo arrivato: scienziato, deputato al Parlamento, amministratore civile, consulente tecnico in gravissime questioni, dirigente di partito e di associazioni cattoliche, proveniva da studi severi ed era impegnato sulle più avanzate frontiere della ricerca scientifica.

Carriera di un uomo

Era nato il 26 aprile 1911, a Porto Recanati, nelle Marche. Compiuti gli studi classici all’Istituto Massimo di Roma, si era laureato in Fisica pura sotto la guida di Enrico Fermi a 21 anni, nel 1932. Quasi subito fu nominato assistente dell’Istituto di Fisica all’Università di Roma; conseguì la libera docenza in Fisica terrestre nel 1937 e nel 1942 vinse la Cattedra di Fisica sperimentale presso l’Università di Palermo. Nel 1949, diventò Direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, poi titolare della Cattedra di Fisica terrestre all’Università di Roma. Una carriera brillante, luminosa, invidiabile.
Ma non è tutto. Il 2 giugno 1946, veniva eletto deputato all’Assemblea costituente, riconfermato fino al 1953 alla prima legislatura della Repubblica, nelle liste della DC. Poi gli incarichi non si contano più: vicepresidente dell’Euratom con sede a Bruxelles, poi membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, capogruppo in Campidoglio per la DC, deputato per la terza volta.
Le scienze erano la sua passione. «Sono felice – diceva – di essermi dedicato a questo settore per conoscere e ammirare le meraviglie profuse da Dio nell’immensità del creato».
Eccezionali i suoi studi biologici sulle materie che rigenerano le cellule e sulle cure dei tessuti colpiti da radiazioni atomiche. La prima tesi al mondo sul neutrone porta la sua firma. Le prime esperienze sul radar sono state fatte da lui. Fu il primo a studiare i fasci ionizzanti dell’alta atmosfera, confermati poi dallo scienziato americano Van Allen. Formidabili i suoi studi e le soluzioni tecniche che diede alle periodiche disastrose inondazioni del Polesine e in altre difficili situazioni, in cui pose la sua scienza al servizio dell’umanità, e specialmente della sofferenza umana.

L’innamorato di Dio

Gli italiani – e non solo gli italiani – poterono ammirarlo la notte del 21 luglio 1969, quando l’astronauta Armstrong sbarcò sulla Luna ed Enrico Medi commentò con acume geniale e chiarezza eccezionale lo storico evento. Decine di milioni di ascoltatori rimasero inchiodati al televisore a sentirlo e gli scienziati della NASA lo ammirarono senza fine. Da quella notte d’estate, venne chiamato dal gran pubblico «lo scienziato della luna».
Enrico Medi amava immensamente la scienza e si studiò di renderla accessibile e simpatica a tutti. Quando parlava, lo capivano anche i bambini. Pure gli avversari politici restavano affascinati dalla sua personalità; la scienza, sulle sue labbra, irradiava luce, la luce di Dio.
Da dove gli veniva questo fascino, questa capacità di “contagiare” gli altri? Un giorno qualcuno gli domandò: «Professore c’è contrasto tra scienza e fede?».
Rispose: «È come se tu mi domandassi se c’è contrasto tra i piedi e la testa. I piedi camminano, la testa li guida sulla via da percorrere. I piedi sorreggono la testa e la testa guida nella luce il cammino tentennante dell’uomo».
Ogni giorno, passava un lungo tempo a leggere la Sacra Scrittura e in ogni pagina dell’Antico e del Nuovo Testamento vi trovava Gesù Cristo vivo. Meditava e pregava con la fede semplice di un bambino e la lucidità del grande uomo di scienza. Ogni giorno andava alla Santa Messa e si accostava alla Comunione eucaristica e Gesù diventava l’Amico divino insostituibile, l’intimo della sua vita, la passione ardente della sua anima, Colui che lo spingeva ad amare e a donarsi senza tregua in posti di alta responsabilità. Quando tornava dalla Messa, con l’anima ricolma di Gesù, si raccoglieva ancora in silenzio e scriveva le sue riflessioni sul Vangelo ascoltato in ogni giorno. Ne sono nate pagine splendide, degne di un autore spirituale, di un mistico. Grazie alla riflessione assidua sulla Sacra Scrittura e alla meditazione sui grandi Maestri del Cattolicesimo, primo tra tutti san Tommaso d’Aquino, era diventato un credente eccezionale, ricco di una fede pensata (“fides cogitata”), granitica. Qualcuno disse che era un fanatico. Medi rispondeva sereno e lieto: «Credo in Dio come sul fatto che cinque per otto fa quaranta. Allo stesso modo credo nella legge di Ohm: quando vedo un filo staccato, so che la corrente non passa né potrà passare mai finché non si riattacca il filo. Se questo è fanatismo religioso, sì, io sono un fanatico».

L’apostolato del Vangelo


«La forza di papà Enrico – scrisse la figlia Maria Pia Medi – è sempre stata la fede. In lui non c’è stato atteggiamento, gesto, insegnamento, rapporto umano che non portasse la sua testimonianza di apostolato per la gloria di Dio. Per natura era soprattutto un mistico».
Quando parlava alle folle Enrico Medi si trasfigurava, «parlava come se una voce interna parlasse ed egli trasmettesse. Qualcuno parlava per lui, dentro di lui. Il filo logico, a un certo punto cedeva all’invasione del sentimento e al colloquio con gli ascoltatori succedeva il colloquio con un Altro; allora parlava non agli ascoltatori, ma a Gesù e alla Madonna, come se fosse in chiesa e i suoi colloqui dinanzi alle platee erano momenti di vera elevazione» (L’Osservatore Romano, 28 maggio 1974).
Un giorno, in una borgata di Roma, dove doveva parlare, lo accolsero a fischi e sassate, con un baccano indiavolato. Ma lui non ebbe paura di proclamare la Verità, rischiando anche sulla sua pelle. La sua era una proclamazione felice, fascinosa, che nasceva dal cuore. Un giorno, un ateo, u­scendo da una delle sue conferenze, disse a chi gli chiedeva di partecipare di nuovo agli incontri con Enrico Medi: «Non verrò più. Quell’uomo è terribilmente contagioso!».
Le aule universitarie e civiche, le sale parrocchiali e le piazze, uomini dottissimi e influenti e gli umili che egli prediligeva, sentirono, in Italia e all’estero, la sua calda testimonianza di fede.
Autore di studi scientifici autorevolissimi, l’ultimo libro (Un grande tesoro, Sei, Torino 1971), Enrico Medi lo dedicò a commentare i Misteri del Rosario. Amava la Madonna con la semplicità e la fiducia di un bambino tra le braccia della mamma. Ogni giorno era stato fedele al Rosario e si addormentava stringendo tra le mani la corona. Diceva nel suo ultimo scritto: «I cambiamenti profondi... hanno portato la desolazione nei cuori. Ma i germi profondi, fondamentali della vita non cambiano. Ciò che è vero, buono, santo, resta, non muta con l’andare dei tempi e del vento: tutto ciò che è stabile, fermo, vivificante nella semente che Dio dona ai suoi figli. Noi cristiani abbiamo questa semente: la grazia di Dio. Il nostro tempo è tempo di meditazione e di preghiera. Un potente, sicuro e soavissimo modo di pregare e di meditare insieme alla Chiesa, al Corpo mistico di Cristo, dal Cuore Immacolato di Maria, la nostra Madre Celeste, è a noi venuto da secoli: il Rosario».
La morte, quando giunse per lui, troppo presto, il 26 maggio 1974 (40 anni fa) all’età di soli 63 anni, non fu un trauma, ma il dolce andare incontro al Cristo, Luce e Amore che aveva cercato in continuazione come uomo di scienza e con la sua fede di fanciullo. Il giorno dei funerali, quando la sua bara usciva dalla chiesa di Sant’Ignazio in Roma, la folla poté sentire, in un brivido di emozione, la registrazione dell’ultimo saluto del prof. Enrico Medi alla terra: «Così è la nostra vita, la vita nel cammino della Verità. Lavoriamo, cerchiamo, fatichiamo, versiamo lacrime, veniamo alla ricerca del Sole che è la Verità... A un certo momento il Sole folgoreggiante brucia illuminando le nostre pupille. Con questa luce divina, con questa speranza, in questa attesa, amici, io vi saluto».

Autore: Paolo Risso

 


 

Enrico Medi nacque a Porto Recanati, nelle Marche, il 26 aprile 1911, da Arturo Medi e Luisa Mei. Quando aveva tre anni, si trasferì con i genitori a Belvedere Ostrense, in provincia di Ancona, loro paese d’origine. Lì Enrico trascorse l’infanzia insieme alla madre, al padre e ai nonni e frequentò la scuola elementare.
Il 20 ottobre 1920 ricevette la Prima Comunione nella cappellina privata della casa di Belvedere. Poco tempo dopo, si trasferì nuovamente coi familiari. A Roma continuò gli studi: fu allievo del collegio Santa Maria dei padri Maristi dal 1920 al 1925. Frequentò quindi il liceo dai Gesuiti, all’Istituto Massimo, dove fu tra i fondatori della Lega Missionaria Studenti.
Si laureò nel 1932, a ventun anni, in Fisica pura, avendo come relatore della tesi il professor Enrico Fermi. Il giorno dopo la laurea fu avvicinato dal professor Antonino Lo Surdo, che gli propose di diventare suo assistente. Enrico ricoprì quell’incarico fino al 1937, anno in cui conseguì la libera docenza in Fisica terrestre.
Durante gli anni in cui fu assistente di Lo Surdo, Enrico s’innamorò, ricambiato, di una giovane laureanda in Chimica, Enrica Zanini. Nel 1933, durante la cerimonia dell’apertura della Porta Santa per il Giubileo della Redenzione, le propose di sposarlo.
Le nozze furono celebrate solo l’11 giugno 1938, dopo che Enrica ebbe sostenuto gli esami integrativi per la laurea in Farmacia. Dalla loro unione nacquero sei figlie, che ebbero tutte come primo nome quello della Madonna: Maria Beatrice, Maria Chiara, Maria Pia, Maria Grazia, Maria Stella e Maria Emanuela.
La carriera scientifica di Enrico, intanto, ebbe ulteriori tappe: nel 1942 ottenne la cattedra di Fisica sperimentale all’Università di Palermo. La prima tesi sul neutrone è opera sua e pure le prime esperienze sul radar, che incontrarono però l’ignorante rifiuto delle autorità pubbliche di quel tempo. Dopo alcuni anni, le sue intuizioni sul campo magnetico terrestre vennero confermate dalla Nasa, che annunciò la scoperta delle “fasce di Van Allen”.
Durante la seconda guerra mondiale si stabilì per alcuni mesi a Belvedere Ostrense, impegnandosi ad alleviare le sofferenze della popolazione. Allo stesso tempo, coordinò la Pontificia Opera di Assistenza.
Nel 1946 venne eletto all’Assemblea Costituente e nel 1948 fu confermato deputato al Parlamento. Eletto presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica, realizzò una rete di osservatori geofisici in tutto il mondo.
Nel 1952 fu chiamato alla cattedra di Fisica terrestre all’Università di Roma e dall’anno successivo rinunciò alla carriera politica per dedicarsi solo alla scienza e all’apostolato. Aveva intuito infatti il potere di divulgazione della televisione per la scienza: realizzò corsi di fisica sperimentale, trasmessi dalla RAI e molto seguiti.
Nel 1958 fu nominato vicepresidente dell’Euratom. In questa veste organizzò, nei sei Stati membri all’epoca della Comunità Europea, alcuni centri per la ricerca scientifica, facendo approvare la legge per la protezione dalle radiazioni nucleari.
Scienziato assai stimato e uomo di grande fede, offrì la sua mente e il suo cuore per il progresso dell’umanità. Fra il rammarico generale, nel 1965 si dimise dall’Euratom per gravi motivi di coscienza.
Nel 1966 fu nominato dalla Santa Sede membro della Consulta dei Laici per lo Stato della Città del Vaticano. Nello stesso periodo, costituì la Coming, società di progettazione industriale. Ritornò in politica nel 1971, come consigliere al Comune di Roma e ancora nel 1972 come deputato al Parlamento.
Oltre ad essere un genio della scienza, aveva spiccate doti di scrittore e di oratore. Unendo a esse l’entusiasmo dell’apostolo, attirava folle di ascoltatori e seguaci. Nelle innumerevoli conferenze, dibattiti, scritti, partecipazioni televisive e interventi radiofonici, teneva due punti di riferimento: l’Eucaristia e la Madonna. Sorridente, ottimista, felice anche nelle difficoltà, pur affrontando incomprensioni, critiche e malignità, si presentava come il messaggero dell’amore.
Ai sacerdoti diceva: «Sacerdoti, io non sono un prete e non sono mai stato degno di poterlo diventare. Come fate a vivere dopo aver celebrato la Messa? Ogni giorno avete il Figlio di Dio nelle vostre mani. Ogni giorno avete una potenza, che l’arcangelo Michele non ha. Con la vostra bocca voi trasformate la sostanza del pane in quella del Corpo di Cristo; voi obbligate il Figlio di Dio a scendere sull’altare. Siete grandi. I più potenti che possono esistere. Sacerdoti ve ne scongiuriamo, siate santi! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, siamo perduti…».
Morì a Roma il 26 maggio 1974; venne sepolto nella tomba di famiglia a Belvedere Ostrense.
Poiché in lui veniva riconosciuta un’autentica figura di laico cristiano, come delineato nel Concilio Vaticano II col decreto «Apostolicam actuositatem», sono cominciate le fasi preliminari per l’avvio della sua causa di beatificazione.
Ottenuto il trasferimento del Tribunale ecclesiastico di competenza da quello del Vicariato di Roma, dove il professor Medi era morto, a quello della diocesi di Senigallia, dove aveva trascorso l’infanzia e dove tornava spesso, è stato rilasciato, il 21 aprile 1995, il nulla osta dalla Santa Sede.
Il processo diocesano per l’accertamento delle virtù eroiche è quindi iniziato il 26 maggio 1995 e si è concluso il 26 settembre 2013. Gli atti del processo sono stati convalidati il 29 aprile 2016.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2018-07-31

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