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Venerabile Francesco Gonzaga Vescovo di Mantova

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Emblema: Bastone pastorale


Generale dell'Ordine dei Frati Minori, principe del Sacro Romano Impero, nacque a Gazzolo il 31 luglio 1546 dal marchese Carlo Gonzaga e da Emilia Boschetto; al Battesimo gli fu imposto il nome di Annibale. Di temperamento ardente e attivo, dimostrò ben presto di possedere una volontà tenace e un'intelligenza acuta. Mortogli presto il padre, fu oggetto di assidue cure da parte degli zii Ercole Gonzaga, cardinale, e del marchese Ferrante. A undici anni fu inviato dallo zio cardinale nelle Fiandre presso la corte spagnola, dove continuò gli studi e gli esercizi cavallereschi; a dodici anni ricevette la prima Comunione; si distinse fra tutti per il suo comportamento nobile e serio e per la sua assiduità nelle pratiche religiose.
Dalle Fiandre, seguendo il re di Spagna, si trasferì prima a Toledo e poi a Madrid; a quattordici anni portava il cilicio, ascoltava ogni giorno la Messa ed amava soccorrere in ogni modo i poveri.
Quando manifestò il proposito di farsi religioso tutti si opposero e tentarono ogni mezzo per dissuaderlo, chiedendo a tale fine anche l'aiuto del cardinale Ercole Gonzaga, presidente del concilio di Trento. Vinse la costanza del giovane il quale vestí l'abito francescano il 17 maggio 1562 in Alcalà, prendendo il nome di Francesco. La madre e i congiunti gli scrissero parole di fuoco, cercando di farlo ritornare nel mondo; ma nulla poterono contro la incrollabile volontà del sedicenne novizio che edificò i confratelli andando anche per la questua.
Professò il giorno della Pentecoste, 29 maggio 1563, presenti i principi Giovanni e Carlo d'Austria, Alessandro Farnese e numerosissimi cavalieri.
Terminato il corso filosofico, fu inviato all'università di Alcalà per lo studio della teologia; finiti gli studi fu nominato predicatore, lettore, confessore.
Il padre generale del tempo lo richiamò in Italia ed egli si stabilí a Mantova dove i suoi governavano, dando esempio grandissimo di umiltà e povertà e predicando con grande successo.
Anche in Italia fu incaricato dell'insegnamento: lesse Scoto e s. Bonaventura, m eravigliando tutti per la profondità della sua dottrina.
Edificò in S. Martino, nelle terre della sua famiglia, un convento, parte con l'aiuto dei suoi fratelli, parte mendicando il necessario. Non rifuggiva dai piú umili servizi, anzi li cercava: lo si vide spazzare, fare il cuoco, mescolar la calce, andare in giro per la questua; nel 1577 fu nominato ministro provinciale del Veneto, nel 1579 il capitolo generale dell'Ordine tenutosi a Parigi, lo nominò ministro generale: aveva appena trentadue anni, voleva rinunciare, ma il nunzio apostolico gl'impose di accettare quell'uffficio.
A tutti fu di grande esempio, nel lavoro, nell'orazione, nella povertà, nella carità fraterna, nello zelo apostolico. Prescrisse che in tutto l'Ordine ogni sabato sera si cantassero le litanie della Vergine con l'Oremus dell'Immacolata. In otto anni di governo visitò l'Italia, la Francia, la Spagna, le Fiandre, la Germania. Inviò missionari in Cina Filippine, Brasile, trattò questioni gravissime alle corti di Francia, Spagna, Portogallo. Edificò un convento in Bologna per ospitare religiosi polacchi venuti in Italia per dedicarsi agli studi superiori. Il pontefice Sisto V lo ebbe in somma stima.
Nel 1587, dopo otto anni, fu sollevato dall'onere del generalato e chiese umilmente di ritornare al convento di S. Martino; nell'ottobre del medesimo anno fu nominato vescovo di Cefalú in Sicilia. Anche nella sua diocesi visse poveramente, semplicemente e in casa volle che tutti i suoi familiari fossero di vita irreprensibile; a Cefalú celebrò un sinodo e, a Palermo, partecipò al parlamento generale e lo presiedette.
Attuò con solerzia le disposizioni emanate dal concilio di Trento. Riformò il canto ecclesiastico, edificò il seminario e il palazzo vescovile. Fu trasferito a Pavia e poi a Mantova, dove condusse sempre una vita di preghiera, carità e penitenza; pagò i debiti dei carcerati, rinnovò la facciata della cattedrale, il palazzo vescovile, fabbricò il seminario e alcune case per famiglie povere.
Nel 1595 andò come legato pontificio a Parigi per pacificare Francia e Spagna. Terminata la missione, ritornò in Italia nel 1598. Ben presto seppe che era stato nominato nunzio in Germania presso l'imperatore; ma tanto fece che riuscí ad evitare l'incarico; fu due volte ambasciatore del duca di Mantova presso i pontefici Leone XI e Paolo V, in occasione della loro elezione. In mezzo a tanti affari e alle cure pastorali, nonostante l'età avan zata, lavorava con inalterato ardore apostolico, per nulla diminuendo l'abituale austerità di vita, le durissime penitenze. Colpito da apoplessia, dopo un periodo di forzato riposo, volle porsi nuovamente al lavoro con tanta solerzia che di lui fu detto che lavorava per tre vescovi.
La sua già debole salute, andava sempre deperendo, ma il Gonzaga aumentava le opere buone e l'esercizio eroico delle virtú; infine volle distribuire tutti i suoi averi, per morire francescanamente povero. Costretto a letto dal male, pregava ininterrottamente; ricevette gli ultimi sacramenti con edificante pietà e piena consapevolezza: volò al cielo, fra il rimpianto generale, l'11 marzo 1620.
I suoi funerali furono un trionfo: una folla incredibile, dai piú umili, ai piú nobili, fu presente: tutti erano certi che era morto un "gran servo di Dio", fu sepolto nella cattedrale di Mantova e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi. Il decreto d'introduzione della causa fu emesso il 7 agosto 1627; nel 1904, dopo una lunga interruzione, la causa è stata ripresa.


Autore:
Antonio Cairoli


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2002-06-26

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