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Domenico Zamberletti Adolescente

Testimoni

Sacro Monte di Varese, 24 agosto 1936 – 29 maggio 1950


Quarantacinque anni fa ero andato, insieme a don Barbero, a cercarne la tomba, nel piccolo cimitero del Sacro Monte di Varese: sembrava un parco-giochi in miniatura, tutta ingombra di pupazzetti e giocattoli che, ci fu spiegato, erano altrettanti ex-voto di chi si affidava alle preghiere di quel bambino. Sorprende, malgrado il tempo trascorso, che ancora oggi sia così, perché i genitori non hanno perso l’abitudine di salire fin lassù a chiedere la guarigione o la conversione dei loro figli. Anche se Domenichino Zamberletti non è, ancor oggi, neppure beato: a bloccarne la “Causa”, ai suoi primi passi, furono i suoi stessi genitori, preoccupati dell’eccessiva intraprendenza di un sacerdote, che dal Sud un po’ troppo sovente saliva al Sacro Monte a fare incetta delle cose appartenute al loro bambino. Non si è invece bloccato il flusso di grazie, che hanno del miracoloso, ottenute per intercessione del ragazzino, morto a neppur quattordici anni promettendo: “quando avrete bisogno di qualche grazia chiedetela a me, ma chiamatemi, chiamatemi…”. Nasce nel 1936, nella famiglia dei gestori dell’albergo, localizzato a pochi passi dal celebre santuario che domina il Sacro Monte. Pur cresciuto tra pentole e fornelli, gattonando tra i tavoli e familiarizzando con i clienti, è chiaro fin da subito che quello dell’albergatore non sarà il suo destino. All’attività di famiglia preferisce di gran lunga il vicino santuario, di cui già a sei anni diventa il chierichetto più affezionato e solerte e, a nove anni appena, addirittura organista-titolare. Quello della musica è un dono naturale, di cui i genitori si accorgono sentendolo suonare “ad orecchio” al pianoforte dell’albergo, e che hanno l’accortezza di coltivare senza trasformare lui in un bambino-prodigio. Oltre ad accompagnare all’organo le messe solenni, destreggiandosi in deliziose “improvvisazioni” durante la consacrazione, Domenichino a neppur dodici anni si rivela anche compositore di una messa a una voce e di numerose pastorali natalizie. La scintilla scocca sui dieci anni: vincitore del Premio-Roma messo in palio nella gara catechistica, vedendo in piazza San Pietro tanti sacerdoti intenti alle confessioni dei ragazzi, si sente nascere dentro la voglia di essere prete, magari tra i Camilliani, certamente in veste di missionario. Intanto va a scuola dai Salesiani a Varese e lì si innamora di don Bosco e soprattutto di Domenico Savio, al quale si sente legato non solo dal nome, ma anche dal desiderio di raggiungere in fretta la santità. La sua spiritualità fa progressi: la preghiera diventa intensa e fervorosa, sempre più intenso il desiderio di far sempre la volontà di Dio, ancora più insistente la spinta ad accompagnare il cammino dei suoi amici verso Gesù, cioè, come si diceva allora, a far apostolato. Ha la stoffa del leader e riesce a far presa sui coetanei e particolarmente sui chierichetti, dei quali diventa cerimoniere attento e scrupoloso, aiutandoli ad entrare nel vero spirito della liturgia in cui lui, evidentemente, si trova già da tempo più a che a suo agio. Il “cocco della Madonna”, come lo chiamano in casa, ha una devozione tenerissima per la mamma di Gesù, alla quale indirizza volentieri i suoi piccoli amici: è forse anche per questo che il suo santuario, che è la “casa della Madonna”, gli è così familiare e vi si trova così bene. A gennaio 1949 si manifestano i sintomi di una strana malattia, caratterizzata da febbre alta, vomito e dolori articolari, che i medici per un anno non riescono a diagnosticare: soltanto nel successivo mese di dicembre, infatti, alla Columbus di Milano riescono ad individuare una rara forma leucemica, all’epoca inguaribile, malgrado ogni tentativo di cura, anche dolorosa, cui viene sottoposto e nonostante il suo prepotente desiderio di star bene “per diventare sacerdote”. Le crisi della malattia sembrano inspiegabilmente acuirsi ogni venerdì, ed in modo particolare il 7 aprile 1950, venerdì santo, tanto che qualcuno è portato a vedere in ciò una relazione con la passione di Gesù, alla quale comunque Domenichino è costantemente unito, tutto offrendo per la salvezza degli altri, anche l’inappagato desiderio di essere prete. Chiude per sempre i suoi occhi il 29 maggio 1950, annunciando con gioia che la Madonna gli sta venendo incontro: da meno di tre mesi Domenico Savio è beato, mentre Domenichino potrebbe esserlo tra qualche anno, se il suo attuale arciprete avrà il coraggio di far riavviare il processo di beatificazione, come tanti devoti insistentemente chiedono.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

La sofferenza vissuta da ragazzi e adolescenti è ancora più straziante, perché oltre il dolore è visibile una vitalità, tipica dell’età, compressa e bloccata dal male e dallo stare a letto; inoltre in tanti colpisce la serenità e l’accettazione della volontà di Dio, a volte difficile a trovarsi negli adulti.
La Chiesa, le comunità parrocchiali e civili, le Associazioni, gli stessi parenti ed amici, hanno provveduto dopo la loro immatura morte, a trasmettere in vari modi i messaggi emanati con la loro, sia pur breve vicenda terrena, ma soprattutto ad additarne gli esempi al distratto, convulso, frettoloso, mondo dei giovani d’oggi.
Alcuni sono Servi di Dio, altri Venerabili o già Beati e Santi, altri ancora vengono definiti ‘Testimoni della fede del nostro tempo’; citiamo alcuni di questi ragazzi, splendore della fede cristiana, angeli di passaggio sulla terra che hanno lasciato una luminosa scia di virtù, purezza, esempio, amore:
Silvio Dissegna 12 anni di Moncalieri; Aldo Blundo 15 anni di Napoli; Angela Iacobellis 13 anni di Napoli; Giuseppe Ottone 13 anni di Torre Annunziata; Maggiorino Vigolungo 14 anni di Benevello (Cuneo); Mari Carmen Gonzalez-Valerio 9 anni spagnola; beata Laura Vicuña 13 anni cilena; s. Domenico Savio 15 anni oratoriano di Torino; Aldo Marcozzi, 14 anni di Milano; Paola Adamo 15 anni di Taranto; Ninni Di Leo 16 anni di Palermo; Fernando Calò 17 anni portoghese, ecc.

A loro si aggiunge l’adolescente Domenico Zamberletti di 13 anni e nove mesi, il quale nacque e morì all’ombra del Santuario dell’Assunta al Sacro Monte di Varese.
E nell’Albergo del Sacro Monte, di cui i genitori erano proprietari e gestori, nacque il 24 agosto 1936, ultimo di tre fratelli. Famiglia agiata e ricca di sentimenti umani e cristiani che seppe trasmettere ai figli, specie al più piccolo Domenico, il quale già in tenera età era pieno di bontà per i poveri, al punto di disporre che in cucina si preparasse un piatto in più per il “Cristo affamato”, infatti tutti i giorni si presentava qualche povero all’albergo, bisognoso di cibo.
Pur essendo il “padroncino”, aiutava personalmente la servitù che trattava come fratelli. La preghiera lo attraeva notevolmente, al punto che un giorno una suora dovette scuoterlo dal suo raccoglimento per farlo andare via e lui: ”È già ora di andare? Non mi accorgo del tempo che passa”.
Amava la musica in modo particolare e ancora piccolo aveva iniziato a suonare esercitandosi sul pianoforte dell’Albergo del Sacro Monte, improvvisando delicate melodie.
A 9 anni divenne addirittura organista ufficiale del Santuario; seguendo il consiglio del padre, prese a suonare senza spartito durante la Consacrazione, lasciando spazio al cuore di suonare ciò che sentiva.
E una volta una signora, commossa dalla melodia inedita, ne chiese lo spartito e Domenico rispose: “Mah… non ce l’ho! La musica mi è sgorgata dal cuore, ma io non ricordo nemmeno una nota”; continuò a suonare liberamente melodie stupende, anche per i propri compagni e parenti.
Scelse di andare a scuola presso il Collegio Salesiano di Varese, per raggiungerlo prendeva ogni mattina la “cremagliera” del Monte e poi il tram.
Intelligente, sveglio, curioso, con la guida del suo confessore, con la preghiera, la mortificazione e il compiere gioiosamente i doveri, riuscì a raggiungere mete spirituali sconosciute a molti degli allievi.
Ogni mattino, prima della scuola, il “ragazzo del Sacro Monte” si recava nella cappella del collegio e qui davanti alle immagini della Madonna Ausiliatrice, di s. Giovanni Bosco e s. Domenico Savio, Domenichino, come veniva chiamato per distinguerlo dal santo, pregava e si confidava con i suoi celesti protettori.
Ma il Signore voleva da lui ancora di più; ai primi di gennaio del 1949 si presentarono i primi sintomi con una pleurite, di una grave malattia che avrebbe stroncato tutti i suoi sogni e quelli degli altri che l’amavano: la leucemia.
Seguirono otto mesi d’intense sofferenze, offerte dal suo letto di dolore per il Papa, il clero, i malati, i fanciulli poveri e gli educatori; proferì varie frasi degne di un santo, anche se aveva poco più di 13 anni.
“So che non guarirò, il Paradiso è assicurato”, “Non voglio essere incosciente quando muoio… è Domenico Savio che mi viene incontro”, “Mamma, quando non ci sarò più, va a trovare i bambini che soffrono negli ospedali, va a nome mio. Hanno tanto bisogno di conforto”, “Mi sarebbe piaciuto tanto aver potuto tenere Gesù nelle mie mani, ma si vede che devo essere sacerdote in Paradiso”, “Mamma ho chiesto alla Mamma Celeste di venirti a consolare”.
E nell’anno in cui il suo grande amico e confidente Domenico Savio, veniva proclamato beato, Domenichino Zamberletti moriva il 29 maggio 1950, spirando con un grido gioioso: “Mamma mi viene incontro la Madonna!”.
La sua tomba è nel cimitero del Sacro Monte di Varese.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2014-07-08

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