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Beata Giustina Bezzoli Francucci Vergine benedettina

12 marzo

Arezzo, 1257/60 circa - Arezzo, 12 marzo 1319

Nata ad Arezzo tra il 1257 e il 1260 da nobile famiglia, sin da giovane manifestò una profonda vocazione religiosa, che la portò a superare l'opposizione dei genitori e a consacrarsi a Dio nel monastero di S. Marco. Trasferitasi poi in altri monasteri e infine in una grotta presso Civitella, condusse una vita di estrema penitenza e contemplazione, confortata da visioni mistiche e sostenuta dalla sua devozione alla Passione di Cristo. Divenuta cieca negli ultimi vent'anni di vita, continuò ad essere un esempio di fede e carità per le consorelle, fino alla sua morte avvenuta nel 1319. Il suo corpo incorrotto, venerato nel Monastero di S. Maria del Fiore a Lapo a Firenze, è meta di pellegrinaggi e fonte di grazie per quanti la invocano, soprattutto per i problemi di vista.

Martirologio Romano: Ad Arezzo, beata Giustina Francucci Bezzoli, vergine dell’Ordine di san Benedetto e reclusa.


A Firenze, nel Monastero benedettino di S. Maria del Fiore a Lapo, è custodito e venerato il corpo incorrotto della Beata Giustina Bezzoli Francucci, qui traslato dal Monastero dello Spirito Santo di Arezzo nel 1968, quando le due comunità claustrali si riunirono. La chiesa grande del monastero, al centro della borgata a nord di Firenze (ma diocesi di Fiesole), sulla via Faentina, dal 1938 è anche parrocchia e così, in mirabile sintonia, le due comunità vivono e pregano fianco a fianco, arricchendosi vicendevolmente dei diversi doni dello Spirito. Il coro delle monache è il prolungamento della chiesa e al centro vi è proprio il tabernacolo. La fondazione della comunità avvenne ad opera del ricco Lapo da Fiesole che nel 1350 ospitò qui le prime monache. Il 13 ottobre di quell’anno il vescovo S. Andrea Corsini consacrò il monastero con la regola di S. Agostino e col titolo di S. Maria del Fiore che qui è più antico rispetto al duomo fiorentino. Le agostiniane rimasero fino al 1808, quando dovettero lasciare a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi; le benedettine subentrarono nel 1817. L’urna con in corpo della Beata è collocata in un muro che unisce le due comunità ed è da entrambe visibile: il suo volto guarda verso la clausura e pare invitare i fedeli laici a dedicare il giusto tempo alla preghiera.
Discendente da nobilissima famiglia, i Bezzoli Francucci, Giustina nacque ad Arezzo tra il 1257 e il 1260. Dal carattere amabile e umile, crebbe acquisendo presto una certa maturità. Nella ricca casa paterna, tra agi e comodità, assimilò con la preghiera quotidiana i più genuini sentimenti religiosi. Sovente si privava del cibo e amava ritirarsi nella propria stanza a pregare, maturando così la decisione di consacrarsi a Dio. Il diniego dei genitori fu immediato e senza appello. Figlia unica, amatissima, erede di cospicue ricchezze, aveva davanti a sé un futuro assai invidiabile: sposarsi con un uomo degno della sua casata. Sappiamo però che le vie del Signore non sono le vie degli uomini: convinse prima il padre a costo di lacrime e sospiri, poi fu la volta dello zio paterno, risoluto anch’egli a non privarsi dell’unica nipote. Una grave malattia del padre fece riflettere tutti sulla caducità delle cose e Giustina ottenne il desiderato benestare. Aveva solo dodici anni e tale decisione risulta a noi incomprensibile ma, a quell’epoca, le scelte importanti a volte erano prese a quell’età.
Giustina venne accolta nel monastero di S. Marco (che oggi non esiste più), portando con sé solo un’immagine del Crocifisso. Una colomba si posò sul suo capo al momento dell’ingresso, segno eloquente che lo Spirito Santo assisteva già l’umile figlia del S. Padre Benedetto. Lasciava tutto per dedicarsi alla meditazione della Parola di Dio: il rozzo saio prendeva il posto delle vesti opulente. Novizia esemplare, nei compiti più semplici si mostrava lieta di rispondere con l’obbedienza alle necessità comunitarie. Giustina soggiornò nel monastero per circa quattro anni, fino a quando fu costretta a partire con le consorelle a causa delle guerre che sconvolgevano la città. Col suo Crocifisso si trasferì nel Monastero d’Ognisanti, ma pure qui il soggiorno non fu lungo.
Venne un giorno all’orecchio della Beata che in una grotta, presso il Castello di Civitella (Civitella della Chiana), viveva volontariamente reclusa una vergine di nome Lucia. Raggiungerla per condividere la pratica più austera delle cristiane virtù divenne il suo sommo desiderio. Col permesso del vescovo Guglielmo Umbertini si trasferì nell’eremo dove Lucia, ben contenta, l’accolse. In una povertà estrema ricevettero la visita del padre di Giustina che, possiamo immaginare con quanta angoscia, tentò inutilmente di riportarla a casa.
La convivenza delle due anacorete durò solo qualche anno, fino a quando Lucia si ammalò gravemente e la giovane compagna l’assistette con amore fino al momento del trapasso. Rimasta sola Giustina continuò a vivere dedita solo alla preghiera e alla penitenza, confortata visibilmente dallo Sposo Celeste che per mezzo di un angelo la difese più volte dagli attacchi dei lupi. Tali e tante privazioni non potevano non minarle la salute e a soli trentacinque anni iniziò ad avere seri problemi di vista. Fu costretta a tornare nel monastero tra il giubilo delle consorelle che ormai vedevano in lei un’anima non più di questa terra. Il monastero era però soggetto alle scorribande dei soldati e il vescovo Ildebrando Guidi dovette trasferirlo in un luogo sicuro. Era l’anno 1315 e Giustina cambiava nuovamente dimora.
La Beata ebbe una devozione singolare per la Passione di Cristo e, sebbene ammalata, usava dei cilici, giungendo persino a flagellarsi. Trascorse gli ultimi venti anni di vita completamente cieca, cadendo più volte in estasi, anche in presenza delle consorelle. Visse in condizioni di grande miseria ma sempre fiduciosa nella Provvidenza e a quanti le chiedevano una parola di conforto non mancò di soccorrerli come poteva. Morì pregando, circondata dalle compagne, il 12 marzo 1319. Sul suo corpo erano evidenti, in tutta la loro crudezza, le piaghe causate da una catena di ferro che per anni tenne stretta in vita.
Le grazie ottenute per sua intercessione furono subito numerose. Un candido giglio nacque spontaneamente sulla sua tomba e con tale attributo viene solitamente raffigurata, basti ricordare il ritratto che ne fece Giotto per la Chiesa fiorentina della Misericordia. Il corpo, a dieci anni dalla morte, era sorprendentemente flessibile e il Vescovo di Arezzo, Buono degli Uberti, ratificò quel culto che spontaneo era nato nel popolo. Due secoli dopo venne chiuso in una cassa di ferro fino al 1709, quando riapparve eccezionalmente incorrotto. Nella bara venne trovata un’antica bandiera di guerra lasciata da un capitano come ex voto intorno al 1384. Alcuni frammenti del vessillo furono distribuiti ai fedeli come reliquie. Invocata soprattutto per i problemi di vista, davanti alla sua urna furono anche esorcizzati alcuni indemoniati. Il culto fu confermato dalla Santa Sede il 14 gennaio 1891. Il 12 di ogni mese un’associazione si ritrova per farne memoria con la celebrazione dell’Eucaristia.

PREGHIERA
Signore Gesù Cristo, che con la contemplazione della Tua Passione accendesti la fiamma del Divino Amore nel cuore della Beata Giustina, concedi anche a noi di imitare i suoi esempi e per sua intercessione di adorare sempre e con amore Te Crocifisso e così meritare di raggiungere la Tua beatitudine nei cieli.
Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Per informazioni rivolgersi a:Monastero Santa Maria del Fiore a Lapo
Via Faentina, 247
50133 Firenze
Tel. 055/587444


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2006-06-25

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