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Marianna Farnararo De Fusco Longo Cofondatrice del Santuario di Pompei

Testimoni

Monopoli, Bari, 13 dicembre 1836 – Pompei, Napoli, 9 febbraio 1924

Marianna Farnararo, originaria di una famiglia pugliese di ceto benestante, sposò il conte Albenzio De Fusco, ma rimase vedova a ventott’anni. Avvicinatasi al circolo di preghiera fondato dalla sua amica Caterina Volpicelli (Santa dal 2009), conobbe l’avvocato Bartolo Longo (Beato dal 1980), cui affidò l’amministrazione di alcuni suoi beni nella cittadina di Valle di Pompei. Gli fu accanto nella lunga opera di costruzione del Santuario della Beata Vergine del Rosario e delle numerose opere caritative, specie in favore dei figli dei carcerati. Il 1° aprile 1885 si risposò con lui, per mettere a tacere le maldicenze sulla loro amicizia. Morì a Pompei il 9 febbraio 1924. I suoi resti mortali riposano nella cripta del Santuario di Pompei.



Quando si pensa al Santuario Pontificio di Pompei, dedicato alla Madonna del Rosario e alle tante Opere assistenziali e formative sorte intorno ad esso, non si può non abbinare il ricordo del suo Fondatore, l’avvocato pugliese Bartolo Longo. Accanto a lui, benché meno nota, la sua amica e moglie Marianna Farnararo, vedova De Fusco, che divenne sostenitrice delle opere e della devozione mariana a Pompei.

Le sue origini e il trasferimento a Napoli

Anche Marianna Farnararo era originaria della Puglia, essendo nata a Monopoli in provincia di Bari il 13 dicembre 1836 da Biagio Farnararo e Rosa Martinelli, discendenti da antiche e benestanti famiglie pugliesi; da loro nacquero quattro maschi e tre femmine.
Quando Marianna aveva 10 anni, nel febbraio 1845, morì il padre; rimasta orfana, fu collocata in un collegio religioso per avere un’adeguata istruzione ed educazione.
Aveva 14 anni, quando la madre decise, l’8 marzo 1845, di trasferirsi a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie. Probabilmente fu per sfuggire alla miseria che opprimeva Monopoli in quel periodo, ricordato come la “fame del ‘48” e per allontanarsi dalla città, in preda ad un clima politico antiborbonico; la seguirono l’adolescente Marianna e il figlio Francesco, avvocato.
A Napoli la famiglia Farnararo si stabilì in Via Port’Alba 30, nel palazzo della famiglia Volpicelli. Divenne quindi amica della figlia dei Volpicelli, Caterina, con la qualepartecipò alle attività dell’Associazione del “Cuore SS. di Maria per la conversione dei peccatori”, dedita soprattutto all’adorazione del SS. Sacramento, cui i membri si alternavano durante tutto il giorno; la pratica era molto diffusa e sostenuta dall’arcivescovo di Napoli, il cardinal Sisto Riario Sforza (Venerabile dal 2012).

Sposa, madre, contessa

A 16 anni, il 21 febbraio 1852, Marianna Farnararo andò sposa al conte Albenzio De Fusco (1824-1864), giovane ventottenne di Lettere (Napoli), proprietario terriero. Probabilmente era un matrimonio combinato dalle famiglie, com’era usanza fra i ceti nobiliari del tempo.
Gli sposi andarono ad abitare a Lettere e il loro matrimonio fu allietato dalla nascita di cinque figli: Giovanna (1852), Francesco (1853), Biagio (1856), Vincenzo (1859), Enrico (1862).
Divenuta contessa De Fusco, Marianna s’inserì bene nella nobiltà napoletana, si fece conoscere ed apprezzare, frequentando con assiduità la società mondana della capitale, i balli e i passatempi dei nobili; grazie al marito Albenzio, poté allacciare amicizie e relazioni sociali di rango, che in seguito sfruttò abilmente per la realizzazione delle opere pompeiane.

Vedovanza e amicizia con Santa Caterina Volpicelli

Dopo dodici anni di matrimonio, la morte colpì il conte Albenzio De Fusco il 26 febbraio 1864 a soli 40 anni, lasciando vedova Marianna, di 28 anni, con cinque figli in tenera età. Il decesso era avvenuto a Napoli in Via Medina 17, dove da qualche tempo la famiglia De Fusco si era trasferita da Lettere.
I primi anni di vedovanza furono molto duri per la giovane Marianna, che si trovò sola ad allevare ed educare i cinque figli, dei quali ben quattro maschi, oltre ad amministrare i beni terrieri ricevuti in eredità dal defunto marito.
Con gli anni i tre figli maggiori le procurarono molte amarezze e preoccupazioni, ingigantite dalla solitudine della vedovanza. Perciò, nel 1870, Marianna ritornò a palazzo Volpicelli, ospitata dall’amica Caterina, abitando con i due figlioletti più piccoli in un modesto appartamento; qui si dedicò alle pratiche religiose, affinando la sua spiritualità e desiderio di Dio.
Intanto Caterina Volpicelli non era più la semplice giovinetta di un tempo: era diventata a Napoli l’apostola del Sacro Cuore di Gesù, tramite l’Apostolato della Preghiera di cui era zelatrice, coinvolgendo comunità religiose, chiese e parrocchie; aveva dato inizio alla Pia Unione delle Ancelle e Oblate del Sacro Cuore, per giungere poi alla fondazione dell’Istituto religioso delle “Ancelle del Sacro Cuore”, approvato nel 1874 dall’arcivescovo Sisto Riario Sforza (è stata canonizzata nel 2009).
La contessa Marianna le fu sempre vicina e l’aiutò nell’avvio delle sue opere e fu tra le prime cinque compagne che si consacrarono al Terz’Ordine del Sacro Cuore. I primi germi della sua spiritualità erano maturati nelle Confraternite religiose della natia Monopoli, particolarmente quella domenicana del Santo Rosario.
Si avvicinò sempre più alla recita del Rosario in gruppi di preghiera: ogni sera partecipava alla preghiera mariana in casa Volpicelli. Fu durante queste frequentazioni che conobbe, tra il 1867 e il 1868, l’avvocato Bartolo Longo.
Improvvisamente, e per un certo tempo, lui che era così assiduo a quegli incontri prese a non venirci. Marianna s’interessò al suo caso e mandò una sua domestica a controllare: in effetti, era ammalato e non mangiava da giorni, a causa dell’assenza della proprietaria della pensione dove alloggiava. Venne quindi deciso che fosse ospitato da Caterina, mentre avrebbe mangiato a casa della contessa.

L’avvocato Bartolo Longo

L’avvocato Bartolo Longo, oggi Beato, era originario di Latiano (Brindisi) e dopo il periodo della fanciullezza e adolescenza, trascorso in un collegio gestito dai Padri Scolopi, nel 1864 a 23 anni si trasferì a Napoli, per completare gli studi di Giurisprudenza già intrapresi a Lecce.
Conquistato dallo spirito anticlericale del tempo, si allontanò dalla Chiesa: fu coinvolto nello spiritismo e partecipò a manifestazioni contro il clero e il Papa.
Per sua fortuna, incontrò saggi e prudenti consiglieri e amici, come il domenicano padre Alberto Radente, che l’aiutarono a tornare in seno alla Chiesa Cattolica e a ritrovare l’originaria genuina fede.
Fu invitato a diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù, indirizzato per questo a Caterina Volpicelli e alla contessa De Fusco: ecco perché ogni sera partecipava alla recita del Rosario in casa Volpicelli (per approfondimenti vedere scheda n. 73100 sul Beato Bartolo Longo).

Trasferimento dal palazzo Volpicelli e incarichi amministrativi a Bartolo Longo

La coabitazione di Marianna e Bartolo a palazzo Volpicelli durò un anno, perché nel 1871 dovettero lasciare quella residenza per trasferirsi in un palazzo di Largo Salvator Rosa, aiutati in ciò dal padre confessore della contessa.
I motivi di tale trasferimento furono senz’altro la diversificazione dell’azione di apostolato: loro due erano di orientamento prettamente mariano, mentre Caterina Volpicelli proseguiva e consolidava il culto al Sacro Cuore di Gesù. Inoltre restare in quel palazzo acuiva ogni giorno di più il dolore subito dalla contessa per la morte, il 10 maggio 1870, del figlio Enrico di 8 anni, annegato nel pozzo che era in costruzione.
A tutto ciò si associò una ristrettezza economica della contessa, dovuta alle scarse rendite del suo patrimonio in Valle di Pompei, tanto che una ricca zia materna, venuta da Corato (Bari) e associata all’Istituto della Volpicelli, la soccorse con un assegno mensile di 50 ducati.
Una volta conosciuto Bartolo Longo e averne apprezzato le doti umane, spirituali e organizzative, Marianna De Fusco gli affidò l’amministrazione delle sue proprietà terriere a Lettere, Gragnano e Valle di Pompei, nel tentativo di farle fruttare a dovere e togliersi dallo stato di indigenza in cui si trovava.

A Valle di Pompei

A Valle di Pompei il terreno era fertile, grazie ai periodici straripamenti del vicino fiume Sarno che lo concimavano; ma anch’essa, come molte zone del Meridione, era infestata da briganti.
Bartolo Longo giunse per la prima volta a Taverna di Valle, presso il “Casino di campagna” del fu conte De Fusco nel 1872, rimanendo colpito dalla miseria del luogo e degli abitanti, compreso la decrepita chiesa parrocchiale.
Come era ormai sua abitudine, anche a Valle di Pompei volle diffondere la recita del Rosario: in pieno accordo con il parroco don Giovanni Cirillo, invitava i coloni ogni sera a casa De Fusco per recitarlo in comune.
Un giorno fu invaso da una profonda crisi al ricordo dei peccati commessi, che lo fece disperare nell’incertezza del perdono del Signore. Tuttavia,mentre vagava senza meta in preda allo sconforto, sentì una voce che gli sussurrava: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!».Al suono di una campana che annunciava l’Angelus a mezzogiorno, si inginocchiò e si sentì pervaso da una pace interiore e una tranquillità mai provata prima: decise allora di stabilirsi definitivamente a Valle di Pompei.
Da quel momento la sua vita cambiò in un crescendo di impegni religiosi e di apostolato, prima come catechista, poi organizzatore di feste religiose, collaboratore della parrocchia e infine promotore del Tempio dedicato alla Santa Vergine del Rosario.
Ada Ignazzi, nel suo libro «Marianna Farnararo, contessa De Fusco» (Ediz. Giuseppe Laterza, Bari, 2004), così descrive l’unione d’intenti della contessa e di Bartolo Longo: «Quando Bartolo Longo iniziò il suo apostolato tra la gente abbandonata di Pompei, trovò in Marianna un’abile, intelligente e preziosa collaboratrice. Insieme iniziarono un cammino di vita e di fede che li vide uniti e con un solo intento: la cura delle anime dei contadini della Valle e la promulgazione del culto mariano con la recita del Rosario. Pur tuttavia i loro caratteri erano molto differenti; la contessa era risoluta, pronta nelle decisioni, vivace, ma nello stesso tempo poco tollerante; l’avvocato era pacifico, placido, sempre in cerca di pareri e consigli e ben disposto a mitigare ogni difficoltà e contrarietà con una filosofica risata. Fra loro si venne a determinare una stima profonda che li affratellava. Perseguivano con modalità diverse un solo obiettivo: far del bene al prossimo».
Ma questa comunione di attività, l’utilizzazione dei ricavi del loro patrimonio per fini di apostolato e volontariato, peraltro svolta da un avvocato che aveva fatto voto di castità e da una nobildonna appartenente al Terz’Ordine del Sacro Cuore, non era ben vista. Ben presto si formularono contro di loro opinioni malevole: le volgarità dapprima solo pensate divennero dicerie e le dicerie mormorazioni e poi calunnie. A questo punto Marianna decise di ritirarsi dall’azione diretta di volontariato e apostolato, contro il parere dello stesso Bartolo Longo.
Va notato che l’opera a Pompei era già ben avviata: il 13 novembre 1875 era stato portato a Pompei dall’avvocato il quadro della Madonna del Rosario, regalatogli da una suora di Napoli; dal 1876 era in corso una questua pubblica per raccogliere fondi, che coinvolgeva Napoli e dintorni. L’8 maggio 1876 c’era stata la posa della prima pietra del Santuario, mentre il quadro della Vergine aveva avuto due restauri nel 1876 e 1879.

Il matrimonio di Bartolo Longo e Marianna Farnararo

Tutta l’opera dei due generosi apostoli pugliesi a Pompei era conosciuta ed approvata dalle autorità ecclesiastiche diocesane e dalla stessa Santa Sede. Fu proprio papa Leone XIII, informato della situazione determinatasi con le calunnie e maldicenze, a consigliare loro di sposarsi per porre fine alle dicerie, dispensandoli dai voti assunti in precedenza.
Il matrimonio si celebrò il 1° aprile 1885, nella cappella privata del Vicario Generale di Napoli, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Vergini; Marianna Farnararo aveva 48 anni e Bartolo Longo 44.
Nel volume «Bartolo Longo e il Santuario di Pompei» di Scotto di Pagliara D., Pompei, 1943, si legge: «Marianna De Fusco restò anche allora per Bartolo Longo “La” contessa, la donna cioè che cooperava alla sua intrapresa e spesso gliene spianava il sentiero; nel modo stesso che l’avvocato Longo restò per lei don Bartolo, l’uomo provvidenziale, l’apostolo del Rosario, il salvatore dell’infanzia più sventurata, colui che meritava ogni stima e ogni venerazione».
Pur di caratteri diametralmente opposti (duro, fermo e autoritario quello della contessa; dolce, benevolo, generoso, quello dell’avvocato), la loro unione si dimostrò comunque salda, perché fondata sulla profonda stima, sul reciproco rispetto, la comune fede religiosa, sull’impegno per le opere di carità e la divulgazione del Rosario.
Per questo Marianna Farnararo, è considerata unanimemente cofondatrice del Santuario e delle Opere a Pompei, da dove non si allontanò più fino alla morte.

Le tappe finali delle realizzazioni a Pompei

Il 6 aprile 1887 i coniugi Longo furono ricevuti da papa Leone XIII, che benedisse la corona e gli altri addobbi preziosi del quadro, ormai molto venerato, della Madonna del Rosario. L’8 maggio, sempre del 1887, ci fu l’inaugurazione dell’Orfanotrofio femminile della Vergine del Rosario a Valle di Pompei; il 29 maggio 1892 si ebbe la posa della prima pietra dell’edificio per i figli dei carcerati.
Il 13 marzo 1896 i coniugi cedettero alla Santa Sede il Santuario e le altre opere pompeiane. Papa Leone XIII accettò, dichiarando Pontificio il Santuario e separandolo dalla giurisdizione della diocesi di Nola. Il 4 maggio 1901 lo stesso pontefice elevò il Santuario di Valle di Pompei al ruolo di Basilica Pontificia, privilegio goduto solo da pochi altri santuari in Italia.
Il 12 settembre 1906 i coniugi, che erano rimasti curatori ed amministratori degli affari del Santuario, ormai pontificio, cedettero definitivamente l’amministrazione, comprese le Opere assistenziali al papa s. Pio X (le due cessioni del 1894 e del 1906 sono artisticamente raffigurate in due medaglioni affrescati, posti alla base della magnifica cupola).

La morte della contessa Marianna

La contessa De Fusco morì a Pompei il 9 febbraio 1924 all’età di 88 anni, precedendo il marito Bartolo di poco più di due anni (15 ottobre 1926 ad 85 anni); aveva trascorso a Pompei insieme a lui più di 50 anni.
La salma esposta nella sua casa, dove era solita ricevere i devoti della Madonna e quanti si interessavano delle opere di carità, fu salutata per tre giorni dalle Suore del Terz’Ordine Domenicano, dalle orfanelle di Pompei, dalle figlie dei carcerati, dagli alunni del Pontificio Ospizio “Bartolo Longo”, dai sacerdoti del Santuario e dei Comuni Vesuviani e da una folla di visitatori commossi.
I funerali furono solenni, con la partecipazione di autorità civili, militari e religiose; con un treno speciale della Circumvesuviana, la cui stazione pompeiana è situata nelle adiacenze del Santuario, la salma fu trasportata nel cimitero di Napoli e tumulata nella Cappella della Congregazione del Rosario, per sua disposizione, ritenendo di non essere degna di riposare nel Santuario. Ma sei anni dopo, il 6 febbraio 1930, i suoi resti mortali furono di nuovo portati a Pompei e tumulati presso il monumento in bronzo, che le venne dedicato nella Basilica, a destra di chi entra.
Il 3 novembre 1938 i suoi resti furono definitivamente tumulati nella vasta cripta del Santuario, accanto al marito Bartolo Longo, dove riposa tuttora, anche se le reliquie del Fondatore, proclamato Beato il 26 ottobre 1980, sono state poi sistemate in una apposita cappella nel complesso del Santuario.

Questa panoramica, forzatamente veloce, sulla vita e sull’influenza determinante di Marianna Farnararo nella realizzazione del meraviglioso Santuario e delle imponenti opere sociali realizzate a Pompei, è certamente riduttiva. Esiste comunque, oltre la già citata opera libraria di Ida Ignazzi, una vasta bibliografia inerente la vita e le attività di Bartolo Longo e di Marianna Farnararo contessa De Fusco, a cui si rimanda per un eventuale approfondimento.

Nelle opere a carattere sociale da loro progettate e realizzate, oltre 60.000 tra ragazzi e fanciulle sono stati tolti dalla strada e preparati alla vita, con adeguata formazione professionale e spirituale, grazie alle offerte provenienti da tutto il mondo, che giungono ogni giorno al Santuario, che è stato ampliato nella sua storia per ben cinque volte. Il culto e le attività assistenziali sono diffusi anche attraverso il periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che si stampa attualmente in alcune centinaia di migliaia di copie mensilmente.
Nella Basilica, meta di numerosi pellegrinaggi e centro della devozione mariana ed eucaristica, Marianna Farnararo contessa De Fusco e moglie di Bartolo Longo per 39 anni, è ricordata con varie lapidi. A conclusione di questa scheda, ne riportiamo solo una, posta sull’iniziale sepolcro:

«Fu donna forte
di prudente sapienza
di pietà tenerissima
di attività singolare
provata dal clemente Iddio
con grandi trionfi e con grandi dolori
predicatrice delle glorie del Rosario
fino all’ultimo giorno,
all’età quasi nonagenaria
con la benedizione del Sommo Pontefice
si spegneva nel sonno dei giusti».


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2006-12-14

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