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Amedeo di Savoia e Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna Sposi

Testimoni

Amedeo: Torino, 30 maggio 1845 – 18 gennaio 1890
Maria Vittoria: Parigi, 7 agosto 1847 – San Remo, 8 novembre 1876

Maria Vittoria Dal Pozzo, principessa di Cisterna d’Asti, ultima erede di questo grande casato piemontese, il 30 maggio 1867 sposò a Torino il principe Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, primo Duca d’Aosta, figlio terzogenito del re d’Italia Vittorio Emanuele II e della regina di Sardegna Maria Adelaide d’Asburgo. Il principe Amedeo venne educato nel più alto rispetto delle tradizioni militari della famiglia: si distinse nella battaglia di Custoza, durante la terza guerra di indipendenza del 1866. In seguito ad una rivoluzione che aveva detronizzato la regina Isabella II, Amedeo di Savoia assunse per quasi due anni, dal 1870 al 1873, la corona di Spagna, designato dalle Cortes con 191 voti favorevoli e 120 contrari. La novella coppia reale accettò l’incarico con spirito di servizio verso tale nazione, consci di non poterne assolutamente ricavare alcun genere di beneficio, vista l’estrema instabilità della corona. Sin dal suo arrivo nel nuovo paese Maria Vittoria si rivelò umile e buona, prodigandosi nell’assistenza dei poveri e dei diseredati, tanto da meritarsi di essere ricordata come la “Regina della carità”. Questa sua attitudine proseguì al suo rientro in Italia. Di salute Cagionevole, morì giovanissima lasciando tre figli ancora piccoli. Nel suo testamento la regina invitò i figli ad essere sempre “ virtuosi e fedeli a Dio”, “rispettosi del padre”, “generosi con i poveri” e ad “erigere a norma della vita la Religione, la Giustizia e la Virtù”. Lasciò molte eredità ad ospedali ed opere benefiche varie. Dopo il rientro in Italia Amedeo ricoprì numerosi incarichi ufficiali. Rimasto vedovo nel 1876, sposò dopo dodici anni la nipote Letizia Bonaparte, figlia di sua sorella Venerabile Maria Clotilde di Savoia. Proprio con questa sorella si attivò al fine di riappacificare lo Stato italiano con la Chiesa, in seguito alla breccia di Porta Pia. Morì a causa di una broncopolmonite due anni dopo il secondo matrimonio. Quale primo Duca d’Aosta, il principe Amedeo fu il fondatore del ramo Savoia-Aosta. Amedeo e Maria Vittoria furono tumulati entrambi nella cripta della Basilica di Superga. La città di Torino ha dedicato rispettivamente a ciascuno dei due coniugi due vie e due ospedali. Nei decenni succesivi la loro morte con l’avvento del fascismo non si creò il clima favorevole per l’avvio della loro causa di canonizzazione, che da più parti era stata proposta. L’interesse per questa coppia di sposi è recentemente tornato al centro dell’attenzione grazie all’opera di Carla Casalengo “Maria Vittoria. Il sogno di una Principessa in un Regno di fuoco”.


Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, duca di Aosta, re di Spagna. Terzogenito di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide, arciduchessa d'Austria, nacque a Torino il 30 maggio 1845. Comandante la brigata granatieri di Lombardia, combatté con mirabile ardimento nella giornata di Custoza (24 giugno 1866), meritandosi a Monte Croce, dove fu ferito, la medaglia d'oro. Il 30 maggio 1867 sposò la principessa Maria Vittoria Dal Pozzo Della Cisterna, giovinetta d'alto animo, non di sangue reale, che apparteneva a una nobilissima famiglia piemontese imparentata, per mezzo dei De Mérode, con la migliore aristocrazia del Belgio. Tra il 1867 e il 1870, preposto all'armata in luogo del principe Eugenio ormai vecchio e pieno di acciacchi, viaggiò nell'Oriente mediterraneo e fu all'inaugurazione del canale di Suez (1869). Nel 1870 accettò a malincuore, e soltanto per compiacere suo padre, il trono di Spagna. Le Cortes lo elessero il 16 novembre con voti 191 contro 120, e subito una deputazione presieduta da Manuel Ruiz Zorilla venne a Firenze a offrirgli ufficialmente la corona. Imbarcatosi il 26 dicembre alla Spezia, giunse il 30 a Valenza e, il 2 gennaio 1871, a Madrid. Mentr'egli navigava verso la sua nuova patria, il più caldo tra i fautori della sua candidatura, il maresciallo Prim, era assassinato a colpi di fucile nelle vie della capitale. Era un ben triste presagio! In realtà, il suo trono non aveva base alcuna. La nobiltà lo lasciò nell'isolamento, onde gli riuscì persino difficile ricoprire tutte le cariche di corte. Re straniero, venuto per giunta da una dinastia che aveva tolto al papa i suoi stati, parve quasi un'offesa all'orgoglio della nazione: le sue stesse abitudini semplici e modeste non giovarono a dargli prestigio presso le folle use alle fastose magnificenze degli antichi sovrani. Del resto, la Spagna era in preda ai partiti cosiddetti politici che si combattevano senza tregua nel parlamento e nel paese. Dal dicembre 1870 al febbraio 1873 le Cortes furono disciolte quattro volte e, attraverso infinite crisi, passarono al governo più di cento ministri. Nell'aprile 1872, mentre avvenivano qua e là dimostrazioni violente di carattere repubblicano, scoppiò nelle provincie del nord una rivolta carlista che non poté poi essere repressa se non cinque anni più tardi. Il ministro Serrano avrebbe voluto che il re si mettesse personalmente alla testa dell'esercito contro gl'insorti. Egli respinse il pericoloso consiglio. Non avendo ambizione di regno, non era neppur disposto a rimanere sul trono per forza: soltanto a patto che la sua persona servisse veramente alla concordia e alla pace egli s'era rassegnato a lasciarsi eleggere re di Spagna. Già nel 1871 qualcuno gli aveva tirato contro un colpo di pistola. Il 18 luglio 1872, mentre insieme con la regina tornava da un teatro, venne assalito a fucilate, in via dell'Arenal, presso alla chiesa di San Gines, da una banda di congiurati. Rimasto miracolosamente illeso, diede prova, allora e nei giorni successivi, di grande coraggio, continuando a passeggiare a piedi, con un solo aiutante di campo, per le vie e pei giardini della città. Ma da quel momento non pensò più che ad andarsene. Avverso in cuor suo al radicalesimo del ministro Zorilla e risoluto a non servire alle ambizioni di questo o quel partito, l'11 febbraio 1873 abdicò, e il dì seguente, mentre le Cortes proclamavano la repubblica, partì per Lisbona, donde giunse il 9 marzo, a Genova. Nella Spagna non lasciava rimpianti, ma tutti riconobbero almeno la sua lealtà e il suo disinteresse. Aveva rinunziato alla lista civile per non aggravare il pubblico erario e, vivendo del proprio, aveva speso più di dieci milioni. Il ricordo delle opere di carità della regina Maria Vittoria rimase lungamente nel cuore degli umili.
Uscito così dall'avventura spagnola e rientrato in tutte le sue prerogative di principe italiano, Amedeo tornò a vivere nella sua cara Torino e non se ne allontanò più se non per qualche rapido viaggio a Roma o per qualche missione all'estero. Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua città, riprovava ora finalmente la gioia di sentirsi circondato dall'universale simpatia. Ma un fiero dolore venne di lì a poco a ferirlo nei suoi affetti più intimi. Maria Vittoria, che per le sue doti intellettuali e morali aveva esercitato sempre sopra di lui il più benefico influsso, morì a San Remo, a soli 29 anni, l'8 novembre 1876. Questa sciagura servì tuttavia a dimostrargli quanto fosse amato non solo a Torino, ma in tutta l'Italia. La sua popolarità crebbe ancora quando, nel 1884, in uno slancio di amor fraterno, accorse spontaneamente al fianco di re Umberto e con lui rimase per otto giorni tra i colerosi di Napoli. In quel medesimo anno tenne la presidenza del comitato per l'esposizione nazionale di Torino; il 2 ottobre 1887 fu fatto ispettore generale della cavalleria; l'11 settembre 1888 si unì in seconde nozze con la propria nepote Letizia Napoleone; nel 1889 fu a Lisbona pei funerali di Luigi I. Il 13 gennaio 1890 si sparse la voce ch'era ammalato di broncopolmonite e subito si aggiunse che non sarebbe guarito. Per alcuni giorni il cuore della città, che lo sentiva profondamente suo, trepidò intorno al palazzo Della Cisterna, dove subito era giunto da Roma anche il re. Si spense il giorno 18, rassegnato, intrepido davanti alla morte com'era apparso sul campo di Custoza, nelle vie di Madrid e nei lazzaretti di Napoli.
A pochi principi toccò come a lui così sincero e universale tributo di pianto. Non possedeva forse vere attitudini al trono, che d'altronde non aveva desiderato, ma ebbe spirito eroico e cavalleresco, efficacemente espresso nel monumento torinese del Calandra, animo aperto e leale, cuore incomparabilmente buono, caritatevole e pio. Per questo e per qualche cosa di marziale insieme e di mistico che traspariva dall'alta signorile persona e dal pallido volto, ricordava un po' la figura di Carlo Alberto.
Lasciò quattro figli, di cui uno natogli dalla seconda moglie: Emanuele Filiberto, duca prima delle Puglie, poi di Aosta (1869); Vittorio Emanuele, conte di Torino (1870); Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi (1873); Umberto, conte di Salemi (1889), morto nella grande guerra.


Autore:
Enciclopedia Treccani - Ed. 1929


Fonte:
www.liceoclassicotivoli.it

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Aggiunto/modificato il 2007-08-01

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