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Padre Paolo Matteo Abbona Missionario in Birmania

Testimoni

27 aprile 1806 - 13 febbraio 1874

Paolo Matteo Abbona nacque il 27 aprile 1806. Fu ordinato sacerdote nel 1830 all'età di 24 anni. Nel 1839 partì per la Ava e Pegù (Birmania) dopo aver ricevuto dal Papa la triplice benedizione.
Dopo essersi fermato per circa sei mesi a Madras, giunse ad Amarapura, capitale dell'impero birmano, nei primi mesi del 1841. Ben presto il padre Abbona si rese gradito all'imperatore birmano e alla corte imperiale. Si dedicò alla cura dei malati già dal 1842 in seguito allo scoppio del vaiolo e, poco dopo, del colera. Per le sue capacità mediche fu spesso consultato anche dal re. Si interessò anche di astronomia facendosi un nome nei circoli culturali della capitale.
Durante i trenta e più anni di permanenza in missione il p. Abbona fu un instancabile costruttore di chiese, scuole, collegi e ospedali.
Fu catturato prigioniero, insieme ad altri missionari durante la guerra anglo-birmana (1852-1854). Tornò in Italia nel 1856 per ricevere dal Cavour, ministro degli esteri, un trattato commerciale da presentare al re birmano. Nel 1866 visse il dramma della rivoluzione birmana. Ancora una volta ripartì per l'Italia nel 1853 accompagnando con sé, su volere del re birmano, cinque giovani di famiglia regale e di famiglie nobili. La permanenza in Italia avrebbe dovuto durare pochi mesi, ma la sua vita si concluse con la morte il 13 febbraio 1874.


La vocazione sacerdotale.
Paolo Matteo Abbona nacque a Monchiero, diocesi di Alba e provincia di Cuneo, il 27 aprile 1806 da famiglia contadina profondamente religiosa. Paolo Abbona sentì la vocazione sacerdotale già negli anni della sua infanzia. Dopo un primo avvio fatto presso il prevosto di Monchiero, don Angelo Tommaso Rubino (1768-1844) fu affidato a una scuola di Dogliani dove completò gli studi di Umanità e di Retorica. Di lì passò al seminario di Alba, ma non potendo pagare la retta in seminario, fu alloggiato in Alba presso la famiglia Pagliazzi con l'incombenza di prestare qualche servizio. Di giorno l'Abbona frequentava i corsi di filosofia e di teologia nel seminario e di notte studiava.
Fu ordinato sacerdote nel 1830 all'età di 24 anni. Venne mandato vicecurato a La Morra, accanto al Servo di Dio don Giovanni Battista Rubino (1776-1853), fratello minore del prevosto di Monchiero.
Seguendo l'esempio del fratello Paolo anche i due fratelli minori Luigi e Giovanni Abbona entrarono in seminario.
A La Morra dove don Paolo Abbona iniziò il suo ministero pastorale i padri Oblati di Maria Vergine si erano recati molte volte per la predicazione e don Rubino "Oblato aggregato" spesso ne parlava con ammirazione e simpatia. Una missione popolare predicata dagli Oblati in una parrocchia confinante con La Morra diede occasione al giovane vicecurato di conoscerli da vicino, di sentirli predicare, di vederli all'opera. Il loro programma e i loro metodi pastorali piacquero a don Paolo che decise di aggregarsi a loro e ad entrare nel loro istituto. Don Rubino incoraggiò don Paolo nel suo proposito. Anche il vescovo Monsignor Giovanni Antonio Nicola (1753-1834), nativo di Carmagnola, che conosceva gli Oblati, diede il suo assenso.
A Santa Chiara di Pinerolo il 9 novembre 1831 don Paolo venne accolto dal Rettor Maggiore padre Reynaudi e dal padre Loggero, rettore locale. Undici giorni più tardi, il 20 novembre, fece la vestizione e iniziò il suo noviziato sotto la direzione del padre Loggero. Essendo sacerdote il noviziato fu limitato a soli sei mesi e il 10 giugno 1832, festa di Pentecoste, emise i suoi voti religiosi nelle mani del padre Reynaudi.
P. Abbona si dedicò instancabilmente, secondo lo spirito dell'istituto, alla predicazioni delle missioni popolari e al ministero della confessione.

Abbona sulle orme del padre Enrici.
Sul finire degli anni '30 gli oblati si orientarono a compiere il grande passo verso le missioni estere, che si concretizzò con delle fondazioni ed esperienze missionarie in Birmania e in India. Protagonista di questa apertura fu il p. Giuseppe Enrici nel 1839.
Anche il P. Abbona nel marzo del 1839 fece la domanda di partire come missionario.
Il 7 giugno 1839, mentre stava predicando a Locarno, p. Abbona ricevette la lettera in cui gli si comunicava che era destinato alla Missione di Ava e Pegù. Ritornato dalla Svizzera si portò subito a Lanzo per fare i suoi esercizi in luglio sotto i padri Avvaro e Guala.
La sera del 24 luglio 1839 il p. Abbona insieme al p. Vincenzo Bruno lasciò Torino per raggiungere il p. Enrici in Birmania. Il viaggio da Civitavecchia a Roma fu in diligenza. A Roma giunsero alle nove del mattino del 28 luglio. Da Torino a Roma fecero il viaggio in compagnia di don Cocchi e del teologo Villanis.
Il giorno di sant'Ignazio, il 31 luglio, furono accolti alle otto di sera nel collegio di Propaganda Fide dove si trovarono in compagnia di cento e più giovani destinati alle missioni.

In udienza da Gregorio XVI.
Prima di partire per le missioni asiatiche, p. Abbona e p. Bruno furono ricevuti in udienza privata dal Papa, da cui si sentirono accolti come da un padre santissimo con tanta confidenza. Nella curia romana nessun cardinale si mostrò a loro così affabile e grazioso come Gregorio XVI.
L'udienza durò poco meno di mezz'ora e, dopo averli interrogati sulla loro vocazione, parlò della persecuzione del Tonchino, animandoli ad essere rassegnati e disposti al martirio. Abbona manifestò che era loro desiderio poter essere martirizzati; in risposta il Papa lo sgridò dicendogli che in questo modo veniva a desiderare la persecuzione della Chiesa. Bastava che fossero rassegnati a quello che Dio vorrà disporre di loro.
L'udienza terminò con un dono del Papa (due medagliette d'argento), la triplice benedizione e la concessione della facoltà di alcune indulgenze.

Partenza per il Pegù.
A metà agosto ricevettero l'ordine di lasciare Roma senza ancora avere bene imparato la lingua inglese. Da una parte la cosa dispiacque ai missionari anche perché avevano un maestro di lingua inglese molto bravo che gliela stava facendo imparare con facilità e si erano resi conto che in poco tempo avrebbero fatto notevoli progressi.
Ottenute le patenti di Missionari Apostolici con le facoltà annesse ed il passaporto in regola, aspettarono come ultimo atto "la bella e la santa consolazione di baciare i piedi santissimi del Papa".
La sera del 23 agosto lasciarono Roma, giungendo a Civitavecchia la sera del 24. Saliti a bordo del Vapore Mentore partirono per Alessandria d'Egitto, con sosta all'isola di Malta, nella sera del 24 alle ore due.
Da Alessandria a Suez la traversata fu fatta a dorso di cammello accompagnati da una carovana di beduini per difendersi dai predoni del deserto molto numerosi a quell'epoca.
Imbarcato a Suez raggiunsero Colomba nell'isola di Ceylon e poi Madras in India. A Madras i due missionari piemontesi rividero p. Giuseppe Enrici che, stanco e malato, stava per tornare in Europa. Ma confortato dall'arrivo dei due confratelli decise di rimanere in missione. Il p. Enrici e il p. Bruno partirono poco dopo per il Pegù. Invece il p. Abbona rimase ancora sei mesi a Madras ospite del vescovo Patrick Carew che gli affidò prima la direzione dei chierici del seminario e poi quella delle suore arrivate in quel tempo dall'Europa. Lo destinò anche per una predicazione degli Esercizi Spirituali al clero locale; non parlando ancora sufficientemente bene l'inglese li dettò in latino con grande soddisfazione di tutti.
Mons. Carew si mise in contatto con Torino e con Propaganda Fide per una eventuale fondazione in quella città. Le risposte che arrivarono da Torino e da Roma furono entrambe affermative.
Visto che Madras avrebbe offerto un ottimo posto di lavoro per la Congregazione e per accondiscendere alle pressanti insistenze del vescovo Carew, una fondazione degli oblati a Madras sarebbe stata fatta quanto prima, cioè quando le possibilità l'avessero permesso con un nuovo drappello di missionari mandato a questo scopo.
Così p. Abbona lasciò Madras il 21 agosto 1840 e arrivò a Maulmain in settembre dove già si trovavano i padri Enrici e Bruno. Al p. Abbona si pose subito il problema delle diverse lingue che le diverse tribù parlavano. Avendo una buona memoria e una notevole facilità nell'apprendimento in pochi mesi riuscì a capire e a farsi capire.

Nella capitale del Pegù.
Giunse ad Amarapura capitale dell'impero birmano, nei primi mesi del 1841. L'Abbona definì la capitale come "una vera babilonia" a causa della diffusa immoralità pubblica e privata.
Il p. Abbona ben presto si rese gradito all'imperatore birmano e ai membri della famiglia e della corte imperiale. L'imperatore birmano era propenso a doni e regali verso gli ecclesiastici ed i missionari, tanto che Abbona poté dire che in tutti gli anni di missione non gli mancò mai nulla.
P. Abbona su richiesta del Re dei Birmani aveva tradotto un trattato di geografia nella lingua del paese. Sua Maestà Birmana fu assai soddisfatta e trovò un grande piacere nel leggere l'opera di questo eccellente Missionario.
Nel 1843, morto il vecchio imperatore, gli successe uno dei tre figli, di circa 30 anni. Anche questo nuovo imperatore, che pure osteggiava in tutti modi gli europei, prese a ben volere l'Abbona e anche i cristiani poterono vivere e lavorare in pace. Questo imperatore, molto devoto del "Godama", in onore del quale fece edificare moltissime pagode che tutt'ora esistono, nello stesso tempo era aperto verso la religione cattolica.

Medico e astronomo alla corte imperiale
L'Abbona possedeva anche eccezionali qualità scientifiche e capacità tecniche che non sfuggirono al sovrano. Tra queste ne ricordiamo particolarmente due: le sue cognizioni nel campo medico e quelle nel campo dell'astronomia e della matematica. Per questa sua duplice capacità divenne in breve tempo un'autorità indiscussa alla corte dell'imperatore birmano. Dove l'Abbona abbia appreso tante nozioni di medicina, di matematica, di astronomia, non ci è dato saperlo.
La sua pratica medica, frutto dell'intuizione personale, di esperienza e di studi fatti sul posto, cominciò per venire incontro ad una necessità del momento. Nel 1842 scoppiò nella capitale la malattia del vaiolo che mieté in poco tempo più di 6.000 vittime, di cui la maggioranza erano bambini ancora in tenera età. L'Abbona, con gli altri padri, si dedicò subito alla cura dei malati assistendoli e distribuendo loro le medicine che aveva avuto dall'Italia. In quell'occasione battezzò un centinaio di bambini in pericolo di morte.
Poco tempo dopo scoppiò il cholera morbus. In due mesi morirono 10.000 persone. Anche in questa circostanza l'Abbona prestò la sua opera caritativa assistendo i contagiati senza badare al pericolo del contagio. E pare che il risultato delle sue cure sia stato molto positivo per il fatto che da allora in poi fu ricercato come "abile medico e liberale nel dare medicine" e che dignitari della corte e lo stesso imperatore ricorsero a lui in diverse circostanze.
Per ottenere le medicine l'Abbona si rivolse a Torino incaricando il confratello p. Enrico Simonino di trovare dei benefattori. Il 1 maggio 1849 il Simonino potè mandare all'Abbona medicinali per lire 393. Tra i benefattori troviamo il cavaliere Francesco Andrea Gonella, il conte Solare della Margarita, la marchesa Giulia Faletti di Barolo, il conte Vittorio Sallier de la Tour, il marchese Gustavo Benso di Cavour e suo figlio, il teologo Luigi Guala, lo scrittore Silvio Pellico, il monastero delle Carmelitane di Moncalieri e il monastero delle Canonichesse di Santa Croce di Torino.
E' interessante notare il fatto che p. Abbona cercò anche di far arrivare in Italia medicinali non ancora conosciuti che in Birmania si erano dimostrati efficaci.
Il p. Abbona, inoltre, si interessò anche di astronomia. In una lettera del 1844 che scriveva all'amico don Bonfante così si legge:"Le dirò che faccio di tutto... faccio il professore di astronomia, benché non sia astronomo. Per dispensarmene avevo risposto al Re che mi mancavano i globi e i libri e il buon re tosto fece spendere 600 franchi per due eccellenti globi inglesi, mi provvide di libri e io dovetti tosto mettermi a contemplare le stelle, ne scrissi un trattatello in cui spiegai in breve il sistema di Copernico, diedi un'estesa relazione di tutti i pianeti, parlai di tutte le costellazioni indicando il sito di ciascuna, riuscii coll'aiuto dei libri e coll'applicazione a poter determinare le eclissi per qualunque anno. E si sta ora in aspettazione di un'eclissi di luna, che secondo gli astronomi birmani deve accadere la sera del 24 corrente, e secondo me nella mattina del 25. Vedremo chi avrà ragione".
Il 10 dicembre 1852 ci fu un'eclissi totale di sole e l'Abbona fu incaricato di farne al re una relazione dettagliata in lingua birmana. I birmani davano molta importanza a questi fenomeni astronomici.
Per l'Abbona lo studio dell'astronomia più che per un interesse personale volle essere un altro mezzo di apostolato. Seppe così farsi un nome alla corte dell'imperatore birmano e nei circoli culturali della capitale.

Costruttore di chiese, collegi, ospedali e scuole.
Durante i trenta e più anni di permanenza in missione il p. Abbona fu un instancabile costruttore di chiese, scuole, collegi e ospedali.
L'erezione di nuove chiese era imposta dalla crescita del numero dei fedeli. Esse sorgevano nelle principali stazioni missionarie già dal tempo dei barnabiti. Ognuna aveva annessa la casa di abitazione del missionario. Alcune di queste chiese e case a causa dell'abbandono in cui erano state lasciate dai missionari o a causa degli incendi o saccheggi erano andate in rovina.
Al p. Abbona si deve il restauro della chiesa ad Amarapura, nonché quella a Nabeck, a Monlà e a Sabaudron. Nel 1864 ne costruì una grandiosa a Mandalay, diventata nuova capitale dell'impero birmano. Il sovrano birmano accordò al p. Abbona i soccorsi per erigere delle scuole e per la costruzione di una nuova chiesa ad Amarapura. Accanto alla chiesa fece costruire anche un collegio per le suore di S. Giuseppe e fece loro da cappellano e direttore spirituale per diversi anni.
Nel 1844 Abbona aprì una scuola a Morula per 50 bambini che vi erano alloggiati, nutriti ed allevati gratuitamente. Un'altra scuola era stata anche aperta a Amarapura dove erano allevate 25 bambine.

La guerra anglo-birmana (1852-1854).
La presenza inglese in India e nel golfo del Bengala risale alla metà del Settecento con la creazione della Compagnia delle Indie a carattere commerciale ma anche con una finalità politica. L'India era contesa tra Francia e Inghilterra. Finché in Francia si ebbe la monarchia l'Inghilterra poté far poco. Con lo scoppio della rivoluzione francese la situazione cambiò notevolmente.
Nel 1791 Pondichéry, centro del dominio francese in India, cadde in mano inglese. Pochi anni dopo la Compagnia delle Indie si estese al Coromandel e al Bengala, territori confinanti con il regno di Ava e Pegù.
Nel 1795 tre birmani colpevoli di gravi delitti si rifugiarono in territorio inglese per fuggire alle sanzioni del proprio governo. L'imperatore birmano inviò 5.000 soldati in territorio inglese per cercare i fuggiaschi. Questa occasione fu subito sfruttata dai colonialisti che, rivendicando la violazione del territorio da parte dei birmani, conclusero un trattato commerciale di grande vantaggio per la Compagnia delle Indie.
Il 5 marzo 1824 il governatore generale delle Indie residente a Calcutta dichiarò guerra all'imperatore birmano. La guerra continuò per due anni finché si concluse con il trattato di Yendabò del 24 febbraio 1826 con il quale la Birmania cedette agli inglesi il regno di Aracan e le province di Jé, Tavai, Mergui e Tenasserim, e fu obbligata a pagare le ingenti spese di guerra per una somma di circa 25 milioni di franchi.
Nel 1826 gli inglesi, invocando una violazione del trattato di Yendabò (alcuni sudditi britannici avevano con menzogna dichiarato di essere stati maltrattati dai birmani), esigettero un loro presidio militare a Rangoon e ad Ava. Poco dopo nuove truppe inglesi furono inviate sul posto. Misero il blocco sul fiume Irawaddi, principale arteria della zona, che paralizzò i rifornimenti all'interno del paese. Per i missionari non fu un momento facile. Il p. Bruno nella lettera scritta al Rettor Maggiore Avvaro da Maulmain del giugno 1852 si legge: "... dopo la presa di Rangone i barmani presero don Domenico e don Gabutti, li legarono con una catena di ferro e li condussero prigionieri in Ava. Viaggio di 30 e più giorni. [...] Quelli di Ava sono tutti in prigione, spogliati di tutto, e questo durerà fin dopo le piogge, cioè sino a ottobre o novembre prossimo".
Per l'intervento del principe Meng-don-Meng, fratello del re, i missionari dopo tre mesi di prigione furono rimessi in libertà nell'aprile 1852.

Padre Abbona apostolo e messaggero di pace tra birmani e inglesi.
Il principe Meng-don-Meng non condivideva affatto la politica del re, suo fratello. A suo avviso era meglio scendere a trattative con il nemico che affrontare la guerra contro gli inglesi. A quasi un anno dall'inizio delle ostilità il 17 dicembre 1852 fuggì di notte dalla capitale con 77 persone ad insaputa del re.
Tre giorni dopo, il 20 dicembre, fu firmato un primo accordo di tregua tra inglesi e birmani. Gli inglesi vollero che il regno del Pegù fosse annesso al British Indian Empire.
Il principe ribelle, sostenuto dal favore popolare, in breve tempo poté rioccupare la capitale che, per mancanza della polizia, divenne luogo di saccheggio. Il p. Abbona nella lettera del 17 aprile 1853 così descrive quei momenti:"Nella rivoluzione però anche noi abbiamo patito non poco. Presa la capitale, fu consegnata al saccheggio per sette giorni durante i quali io patii non poco. Entrarono in chiesa più e più volte gli aguzzini, cinquanta o sessanta per volta, tutti armati, ci spogliarono di tutto restando con una sola camicia ed una sottana... Ed io fui per ben cinque volte regalato di buone bastonate che tenni in conto di leggera disciplina. Fu solo in tale occasione che potei farla da superiore, poiché appena entravano gli assassini mi presentavo ad essi dicendo essere io il Superiore, e così prendevano me e lasciavano gli altri in libertà, i quali pure patirono non poco. Nessuno però fu bastonato se non Domenico Tarolli che si prese due colpi perché non arrivava per tempo. Onde prenderli io, me li restituivano però con usura. Un giorno mi tennero per ore colla testa sotto le spade sguainate e credevo veramente che mi uccidessero perché erano briganti ubriachi".
Anche il p. Abbona fu imprigionato. Dopo la morte del re il principe Meng-don-Meng divenne sovrano dei birmani. Fece liberare i missionari e fece venire il p. Abbona a Mià-miù-miò, a 50 miglia da Amarapura, dove aveva fissato la sua residenza. Il p. Abbona vi si recò a dorso di elefante conducendo con sé don Polignani, don D'Isola e fratel Domenico Tesio. Il re desiderava farlo ambasciatore presso gli inglesi allo scopo di completare le trattative di pace. Ecco come raccolta il p. Abbona questo suo nuovo incarico nella lettera al Rettor Maggiore Avvaro del 17 aprile 1853:"Il motivo per cui il re tosto mi fece chiamare si era di mandare come ambasciatore agli inglesi onde fare sospendere le ostilità. E difatti partii tosto io con don Tarolli. Trovammo gli inglesi che si avanzavano, parlammo coi medesimi, facimmo sospendere le armi e ritornammo a farne la relazione al re.Don Tarolli tosto ripartì per Prome onde perorare la causa ed assistere don Bozalla nelle molte occupazioni. Io me ne restai col re il quale tosto a sue spese mi fece fabbricare chiesa e casa e provvide a quanto poté avere.Frattanto partirono i missionari birmani per Prome onde conchiudere un trattato di pace, ed io me ne restai coll'ottimo re e alla sua cura dei non pochi cristiani già radunati in Mià-miù-miò".
Pochi giorni dopo, il 30 aprile 1853, Monsignor Balma ordinò al p. Abbona di raggiungerlo a Maulmain in territorio inglese. Mons. Balma, gravemente ammalato, era deciso di lasciare la missione e di ritirarsi in Italia per farsi curare. A tal scopo pensava di nominare p. Abbona pro-vicario apostolico di tutta la missione del nord e del sud.
Ma il p. Abbona non poté recarsi a Maulmain prima della partenza del Balma a causa della minaccia di guerra. D'altra parte egli rifiutò la carica di pro-vicario proponendo don Domenico Tarolli.

Il padre Abbona in Italia.
Il p. Abbona non si recò in Italia per motivi di salute. Da tutto quello che fece nei tre mesi di permanenza in Italia sembra che la finalità del suo viaggio fosse quella di stipulare un accordo commerciale tra il governo sardo e la Birmania. Infatti già verso il 1850 era iniziato un contatto epistolare tra il p. Abbona e il conte Camillo di Cavour (1810-1861) allora Presidente del Consiglio e ministro degli esteri.
Nel luglio del 1856 partì da Amarapura per Alessandria d'Egitto dove vi arrivò il 23 agosto. Il 30 agosto arrivò a Roma. Qui vi rimase per due settimane. Incontrò il cardinal Fransoni e diversi altri dignitari ecclesiastici. Fu anche ricevuto dal Santo Padre Pio IX che gli consegnò un messaggio personale per il re di Birmania insieme a molti preziosi doni.
Ripartito da Civitavecchia il 17 settembre giunse il giorno dopo a Livorno. Il 20 settembre arrivò alla Consolata. A Torino il p. Abbona si incontrò con il principe Oddone, con il conte di Cavour e con lo stesso re Vittorio Emanuele II. Il re, conferito al p. Abbona il titolo di "cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro", per mano del Cavour gli consegnò la seguente lettera da far pervenire al re di Birmania per la firma di un trattato di amicizia:
"VITTORIO EMANUELE per grazia di Dio Re di Sardegna ecc. all'Altissimo e Potentissimo Imperatore dei Birmani, Monarca dei Grandi regni, ecc.
Abbiamo con piacere udito dal Nostro suddito, il Molto Reverendo Don Paolo Abbona, Cavaliere del Nostro Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, le lodi della saviezza, della giustizia e della benevolenza di Vostra Maestà verso i Nostri sudditi, e gli altri stranieri che risiedono nei Vostri domini. Bramosi pertanto di stringere con Vostra Maestà vincoli sinceri di costante amicizia e di aprire relazioni di vicendevole utilità fra gli Stati Vostri ed i territori Nostri, abbiamo incaricato lo stesso Cavaliere Don Paolo Abbona di proporvi, Altissimo Monarca, un trattato di Amicizia, di navigazione, di commercio su basi di perfetta reciprocità, e lo abbiamo a tal fine munito dei Nostri pieni poteri.
Vi invitiamo adunque a prestar fede a ciò che Egli sarà per dirvi nel Nostro Real Nome, e speriamo che la Vostra Maestà accoglierà le Nostre proposizioni dirette al bene d'entrambi gli Stati.
Intanto preghiamo Dio di conservare lungamente e di colmare la Vostra Imperiale Persona e famiglia ed i dominii Vostri di gloria e di prosperità.
Dato dal Nostro Real Palazzo di Torino addì ventuno del mese di Dicembre l'anno del Signore Mille Ottocento Cinquantasei.
Affezionatissimo e perfetto Amico
VITTORIO EMANUELE
Contrassegnato, il Presidente del Consiglio, Ministro Segretario di Stato per gli affari esteri e di finanze, C. Cavour".
Il trattato venne firmato solo nel 1872 quando l'ammiraglio Carlo Alberto Racchia (1883-1896) si recò appositamente a Mandalay. Il trattato riguardava non soltanto i buoni rapporti e il commercio tra le due nazioni, ma anche la libertà di azione e di movimento per i missionari cattolici destinati a predicare il Vangelo in quel regno.

Una nuova via tra la Birmania e la Cina occidentale.
La nuova via di comunicazione tra la Cina occidentale, il Tibet e la Birmania fu scoperta dal p. Abbona il quale nella lettera al p. Gallo del 10 settembre 1855 scrive: "Qui nel regno birmano siamo sempre tranquilli. Sono riuscito ad aprire la comunicazione colla China e col Thibet, e l'imperatore barmano ne è contentissimo. Già per tre volte vennero i cursori e in aprile torneranno per la quarta volta".
La scoperta di questa nuova via di comunicazione è confermata, con maggiori particolari, da una lettera di don Carlo d'Isola del 5 agosto 1855. Con la nuova strada attraverso la montagna ciò che prima richiedeva un anno o più poteva essere fatto nel giro di pochi mesi.
L'opera di mediazione del p. Abbona durante la guerra anglo-birmana del 1852-1874 fu molto apprezzata dalle due parti in conflitto. Nel 1857 le relazioni si resero nuovamente difficili. Nel Bengala era scoppiata una rivoluzione contro gli inglesi e per far fronte agli insorti erano state ritirate in gran parte le truppe dislocate nel Pegù. I birmani volevano approfittare di quest'occasione per riprendersi i territori perduti e i porti poco guerniti di truppe. In quest'occasione il p. Abbona seppe convincere il re birmano dell'inutilità di tale guerra che si sarebbe ritorta contro il popolo birmano.
Il p. Abbona intervenì anche nel 1863 quando una nuova crisi politica tra Londra e la Birmania sorse per motivi commerciali.

Difficoltà e problemi.
La distanza dal Piemonte creò dei problemi ai missionari oblati: una lettera dalla Birmania impiegava normalmente tre mesi di viaggio. Mentre in Birmania - come abbiamo visto - i missionari si trovarono coinvolti nella guerra anglo-birmana fino ad essere imprigionati, in Piemonte si attendeva nella preghiera loro notizie.
Abbona il 16 giugno 1863 scrisse ad un cardinale della curia romana, probabilmente il cardinale Barnabò: "Io scrissi più volte ed ora ripeto che la missione Birmana fu fin d'ora come abbandonata senza soccorsi e senza missionari". A Mandalay la cristianità era in crescita e la cappella divenne "troppo piccola e incomoda". Avendo chiesto aiuto a Mons. Bigandet di concorrere per 500 scudi, questi non volle "e tutto impiega per la missione Peguana". Abbona notava anche come il seminario di Parigi non riuscisse a seguire Pegù e Birmania: "Infatti per tutta la missione Birmana in 7 anni non ci mandarono che un missionario, mentre vi sarebbe lavoro per dieci".
Non essendo il Pegù provvisto sufficientemente, i Battisti americani andavano facendo proseliti presso le tribù cariane. Sebbene i Battisti sul finire del 1852 non avevano in tutto il Pegù e l'impero Birmano neppure un missionario o un catechista, non una cappella o una scuola, né un discepolo, alla fine del 1862 avevano nel Pegù 22 missionari americani, 454 catechisti nativi, 59.366 convertiti, 5.808 giovani di ambo i sessi alle scuole, 300 villaggi interamente convertiti. Abbona sapeva bene che non era tuttavia una fede battista sincera, perché quando il missionario don Domenico Tarolli vi si recò, i cariani lo seguirono volentieri.
La missione cattolica invece si ritrovò con 5 o 6 missionari, nessuno o ben pochi catechisti, pochissime scuole, poche conversioni. I missionari del Pegù invece di crescere diminuivano: nel 1862 ne morirono due, Paruzza se ne ripartì ed un eccellente missionario francese abbandonò la missione.
Anche se presso l'impero birmano fino a quel momento non vi erano ancora Battisti o altri eretici, tuttavia si stavano preparando per recarsi a Mandalè come p. Abbona fu informato dall'imperatore. Presso la missione Birmana vi era molto da fare e si vedeva un gran movimento che non c'era nel passato: le conversioni erano frequenti.

La rivoluzione birmana.
Nel 1866 scoppiò a Mandalay un incendio che in breve tempo si estese a quasi tutta la città. Essendo le abitazioni costruite in gran parte in legno o in bambù il fuoco divenne presto indomabile e ridusse in cenere 10.000 case. Subito il p. Abbona si diede da fare per soccorrere i bisognosi. Gli aiuti gli arrivarono da diverse parti, anche da Rangoon, raggiungendo la somma non indifferente di 4.000 lire.
Il 26 maggio il Vicario Apostolico Bigandet arrivò a Mandalay con le prime due suore di San Giuseppe dell'Apparizione che dovevano prendere la direzione della scuola cattolica.
Il 2 agosto dello stesso anno scoppiò la rivoluzione birmana. Così il p. Abbona descrive gli eventi:
"All'una pomeridiana dello stesso giorno [il 2 agosto 1866], affannato, correndo verso di me un uffiziale, e piangendo mi dà la nuova di una terribile rivoluzione. Tosto tutta la città è in modo che pareva il finimondo.
Un figlio del re, accompagnato da una cinquantina di disperati ed armati, entrano nel palazzo del re, uccidono il principe ereditario fratello del re, uccidono i due figli del re più grandi, due ministri e altri impiegati, e lo stesso scellerato figlio del re si porta a mano armata per uccidere il re suo padre. Un fedele servo del re si getta fra mezzo, ne è ucciso, ma il re poté fuggire e chiudersi in una piccola fortezza. Fu attaccato e ci fu un cannoneggiamento per tutta la sera e notte. Ma il re fu vittorioso e al mattino del 3 tutto era tranquillo".
Sembrava che la rivoluzione fosse terminata. Le scuole cattoliche e le funzioni religiose in chiesa ripresero con il solito ritmo. Ma pochi giorni dopo la rivoluzione riprese con rinnovato furore. Al principe ribelle si erano uniti alcuni inglesi traditori che gli fornirono una nave in assetto di guerra con la quale, risalendo l'Irawaddi, puntò i cannoni su Mandalay e la capitale fu attaccata.
Il p. Abbona venne imbarcato con inganno e contro le sue intenzioni l'otto agosto su un vapore inglese insieme alle suore. Arrivò a Rangon dove vi rimase fino al termine della rivoluzione (2 ottobre).
Ritornato a Mandalay riprese la sua solita attività. Terminò la costruzione del convento e furono riaperte le scuole.

Il ritorno definitivo in Italia.
Il 9 marzo del 1873 il p. Abbona partì per l'Italia con l'incarico del re di accompagnare cinque giovani birmani appartenenti alla famiglia regale e ad altre famiglie distinte di Mandalay perché potessero prendere visione delle fabbriche, delle scuole, degli arsenali, degli ordinamenti civili e militari italiani. Il p. Abbona, spesato di tutto dal re, ricevette anche 3.000 tiscali da distribuire a ciascuno dei cinque giovani affidati alla sua custodia.
La prima tappa del viaggio fu Rangoon dove il p. Abbona si presentò con i cinque giovani birmani a Monsignor Bigandet che li ospitò per qualche giorno. Ripartiti da Rangoon il 24 si fermarono un paio di settimane a Calcutta per partecipare alle funzioni della settimana santa. Imbarcatosi su un piroscafo a vapore inglese attraverso il canale di Suez,aperto al traffico da appena quattro anni, giunsero a Napoli il 14 maggio. Dopo una sosta di cinque giorni in questa città ripartirono per Genova. Qui il p. Abbona incontrò il marchese Durazzo, il titolare della Banca Casella, il sig. Casella, che diverse volte aveva aiutato le missioni, il duca Ferrari e sua moglie, la principessa Annenkoff, presso i quali trovarono ospitalità. Finalmente giunsero a Torino i primi di giugno.

Gli ultimi mesi.
Anche negli ultimi dieci mesi della sua vita il p. Abbona fu molto attivo. Accompagnò egli stesso i cinque giovani birmani in diverse parti dell'Italia settentrionale per visite di studio. Sappiamo con certezza che nell'agosto 1873 furono a Milano. Qui visitarono il Seminario di San Calogero per le Missioni Estere e la ditta Giovanni Battista Pirelli di recente fondazione per intendersi sul prezzo della gomma. Nell'ottobre visitarono il polverificio di Terdobbiate presso Novara e il polverificio di Fossano (Cuneo) di cui era direttore il capitano di artiglieria Carlo Felice Prinetti.
Si dedicò poi alla predicazione. Così si mise in relazione con il monastero delle Clarisse di Boves dove predicò un corso di Esercizi spirituali. E nella lettera indirizzata al Rettor Maggiore del 12 gennaio 1874, si legge:"Coll'intelligenza e permissione del Rev. Padre Rettore Dadesso sul principio di febbraio andrò a predicare un triduo a Boves ove, se mi assistono colle loro preghiere, si potrà fare un gran bene. Vi saranno in quel triduo 17 confessori. Sulla metà di quaresima, poi, sono pregato di andare a predicare gli Esercizi di dieci giorni alla Scaletta, ove è parroco un mio fratello. E vi andrei volentieri".
Il triduo di Boves però gli fu fatale e gli impedì di soddisfare ad altre richieste.

La morte.
Poco tempo prima della sua morte il p. Abbona si recò a Roma nel mese di dicembre 1873 con lo scopo di incontrare il cardinale Barnabò, Prefetto di Propaganda. Il p. Abbona voleva infatti scolparsi dall'accusa che il nuovo Vicario per la Birmania settentrionale, Monsignor Charles-Arséne Bourdon (1834-1918), aveva mosso contro di lui, accusandolo presso il Rettor Maggiore e presso il cardinal Prefetto di Propaganda di essersi allontanato dalla missione senza licenza. Scagionato da tale accusa il p. Abbona ebbe anche la possibilità di essere ricevuto in udienza privata dal Papa Pio IX il 18 dicembre.
Intanto il suo stato di salute peggiorò: una forte tosse asmatica lo faceva molto soffrire specialmente la notte. Quando arrivò a Torino il 10 gennaio 1874 la tosse non era ancora passata. Sperava di rimettersi in quelle settimane di riposo tra i confratelli torinesi. Il 6-8 febbraio doveva recarsi a Boves per la predicare il triduo. Ma non cessando la tosse, anzi facendosi sempre più insistente, rimase dal pievano Calandri di Boves.
L'11 febbraio gli fu amministrato il viatico. Il 13 febbraio 1874 la malattia si aggravò ulteriormente. Nel pomeriggio fu avvertito per telegramma il padre Dadesso. Questi, che era il confessore ordinario del p. Abbona, si precipitò subito a Boves. Il giorno stesso il p. Abbona morì.


Fonte:
www.oblatidimariavergine.it

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Aggiunto/modificato il 2008-03-12

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