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Venerabile Bruno Marchesini Seminarista

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Bagno di Piano, Bologna, 8 agosto 1915 – Bologna, 29 luglio 1938

Nato l’8 agosto 1915 a Bagno di Piano (Bologna) da una famiglia povera di beni e di fortuna, ma ricchi di virtù cristiane, ha imparato presto a stimare la fede e la preghiera, il servizio agli altri e la vocazione al sacerdozio E' stato alunno del Seminario Minore a Bologna e a Roma, finché nel 1934 è entrato al Romano Maggiore. Pur essendo vivacissimo, non solo non diede mai motivo di riprensione, ma i Superiori, i Professori e i compagni ne ammirarono sempre la pietà, l'umiltà, la docilità, la modestia e la carità e lo ebbero carissimo. Riportò un'eccellente votazione negli esami di licenza ginnasiale al R. Ginnasio Minghetti e nel concorso al posto gratuito nel Seminario Pio di Roma. In Seminario si qualifica con tre "esse": sì al sorriso, alla serietà e al servizio. A 23 anni la meningite lo porta al "sì" ultimo, in modo esemplare, nell'estate del 1938.E' stata una vita 'spesa'. Forse, agli occhi di molti, spesa per niente, ma a uno sguardo più profondo, spesa per Cristo, il "Tutto" e l"Unico". Bruno si è buttato a capofitto in una affascinante e sconosciuta avventura: "Voglio essere santo, presto santo, grande santo!". In che modo poteva un ragazzo di 18 anni essere santo? Partendo da una scelta fondamentale: "Non negare nulla a Gesù". Nell'ultimo Natale si era 'legato' per sempre a Gesù, con un dono d 'amore senza ritorno. A Gesù "sposo" aveva chiesto la pace e più di tutto l'amore: un amore senza limiti e senza misura... Gesù, datemi il martirio del cuore e del corpo... Mi offro a Voi, mio Diletto, perché possiate compiere in me completamente il vostro santo volere, senza che le creature possano mettervi ostacolo". Giovanni Paolo II ne ha dichiarato l'eroicità delle virtù, proclamandolo Venerabile, il 20 dicembre 2002. I suoi resti mortali riposano dal 18 marzo 1964 nella cattedrale di San Pietro a Bologna, accanto all’altare di Sant’Apollinare, nella navata destra.



Come fare a scrivere in breve di questo “angelo in carne”, che invidiamo santamente? Attingiamo quasi alla lettera al ritratto che ne fece il card. Palazzini (1911-2000) che conobbe di persona e amò Bruno Marchesini, un po’ più giovane di lui, sulla rivista Sursum corda.

«Vuoi farti prete?»

Era nato a Bagno di Piano, piccolo borgo della Romagna, l’8 agosto 1915. La voce di Gesù lo aveva raggiunto ancora nella sua fanciullezza per bocca dell’arcivescovo della sua diocesi, il card. Nasalli Rocca, il quale si trovava in visita pastorale nella sua parrocchia e rapito dalla sua pronta intelligenza e ispirato da Dio, il buon Pastore gli domanda: «Vuoi farti prete?». Bruno, commosso, gli risponde ripetutamente: «Sì, sì!».
Ed eccolo a Bologna, nel Seminario diocesano, sotto la illuminata guida del padre spirituale mons. Cesare Sarti. Compiuto il ginnasio, già distinguendosi per il suo amore a Gesù e il suo stile di preghiera, gli viene assegnato per concorso un posto nel Seminario Romano Minore per compiervi gli studi liceali. Di lì, sempre nell’Urbe, passa al Seminario Maggiore dove trascorre i due anni di Filosofia e i primi due anni di Teologia.
A metà del primo anno di Teologia, per la festa della Madonna della Fiducia, Patrona del Seminario, riceve la tonsura, e nell’anno seguente, i due ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato. Ormai era vicina la meta del Sacerdozio santo.
Intanto la sua anima si era andata affinando. Aveva compreso che Dio dev’essere al centro, la sua Volontà prima di tutto, la perfetta configurazione a Gesù. Perciò pregava: «Gesù, fammi presto un sacerdote santo, oppure chiamami a te». Tuttavia, quasi avesse chiesto troppo, attenuava la sua domanda secondo il «sì» del Divino Maestro: «Gesù, se mi vuoi sacerdote, lo voglio anch’io; se mi vuoi prendere a te prima, sia tutto secondo la tua volontà».

Molte virtù

Questa docilità alla Volontà di Dio si traduceva in piena obbedienza alla regola del Seminario, alla preghiera eucaristica e mariana, a cui dava il primo posto, all’amabilità con i compagni di studio. Docilità e amabilità, nelle più spiccate caratteristiche della sua vita.
Pur così dotato e ricco di calda umanità, Bruno era molto umile: per amore a Gesù e in somiglianza a Lui, cercava sempre che «Gesù avesse a crescere nella sua anima e lui diminuire fino a sparire». Tra i suoi scritti, abbiamo trovato: «Avere la santa preoccupazione di mettersi in atmosfera di nascondimento continuamente». «Fare in modo di scolorire di fronte ai compagni. Nasconditi, senza farti accorgere». «Che gli altri possano vedere in te solo Gesù e nulla di te».
Proprio come santa Teresa di Gesù Bambino, che egli aveva preso a modello e guida e che aveva saputo imitare: nascondere sempre in serena semplicità, sotto le apparenze di una vita ordinaria fatta di piccole cose comuni, il sacrificio costante della propria volontà e le aspirazioni del proprio io: «A Gesù, a Gesù solo, il sacrificio della mia mente, del mio cuore, del mio corpo, anche nelle cose più lecite e più buone». «Tutto, sempre e solo per Gesù».
Con il suo aspetto buono, quel suo caratteristico immancabile sorriso, sempre uguale e corretto, Bruno era il caro amico di tutti, ricercato nelle conversazioni e nelle ricreazioni. Un compagno, scherzando, vedendolo sempre con il volto luminoso, lo aveva chiamato «Bruno, la gioia cristiana», per quella sua serena uguaglianza di spirito anche nei momenti di agitazione per gli esami o per le difficoltà della vita comune tra giovani diversi.
A chi si meravigliava della sua gioia, Bruno spiegava: «Se non siamo felici noi che possediamo Gesù stesso, l’Uomo-Dio, con il Padre e lo Spirito Santo nella nostra anima, che siamo stati prediletti e chiamati da Lui a diventare suoi sacerdoti, ma chi mai potrà essere ancora felice al mondo? Amici miei, Gesù stesso è la nostra gioia!».
Troppo evidente che quel suo sorriso, quella sua letizia era lo specchio della luce e della pace della sua anima, ancora meglio dell’amore di Dio, da cui si sentiva avvolto e che traspariva nei rapporti con gli altri. Docile, limpido come un cristallo, umile, colmo di Dio, della gioia di Dio.

Obbediente alla Verità

Nella sua vita, pur così giovane, si vedeva un indirizzo unico: la conformità a Gesù, Sacerdote e Ostia del suo Sacrificio. Di lì, il suo spirito di fede e di amore a Dio e ai fratelli, l’ordine in tutti i suoi doveri di seminarista e di candidato al Sacerdozio, la pace e la quiete dell’anima, in amicizia e sintonia sempre più intensa con Gesù, studiato, conosciuto e vissuto in un’intimità e un’interiore conversazione trasformanti.
Al Seminario Minore, Bruno fu prima segretario del Circolo missionario, quindi viceprefetto di una camerata dei più piccoli. Al Seminario Maggiore ebbe anche altri incarichi.
Quando giunse in Teologia, lo studio diventò ancora più «realtà sacra» e l’impegno più importante della sua giornata, subito dopo la Messa e Comunione Eucaristica e la preghiera. Un solo ardente desiderio: studiare la Teologia cattolica più pura e più luminosa, per raggiungere una conoscenza straordinaria di Dio, di Gesù Cristo, della sua «sacra Dottrina», del Sacerdozio vissuto per la gloria e il culto di Dio e per la salvezza delle anime. La conoscenza della Verità per confutare gli errori del secolo e dei cattivi maestri, che a volte penetrano anche nella Chiesa, e per conformare alla Verità, sino all’ultima goccia la sua vita, per irradiare Gesù alle anime. C’era in lui, anche esternamente nell’atteggiamento del suo corpo, l’obbedienza assoluta alla Verità.
Sarebbe diventato un sacerdote splendido, ma diverso era il disegno di Dio su di lui.

«Martire per Te»

Nella Notte Santa del Natale 1937, quando nulla faceva prevedere la sua fine così vicina, Bruno aveva dato a Gesù l’offerta della sua giovinezza: «Gesù – è stato ritrovato scritto da lui – prendimi piuttosto che permettere alla mia anima di macchiarsi con la minima colpa volontaria. Rendimi sacerdote santo, oppure chiamami a te. Dammi il martirio del cuore e quello del corpo: o meglio, dammeli tutti e due». La sua triplice preghiera sarà presto esaudita.
Ecco, ora l’offerta totale, quella della vita, nel maggio 1938, con la malattia gravissima (meningite) gli veniva richiesta. Rientrò in famiglia, a Bagno di Piano, dove si tentò di tutto per strapparlo alla morte. «Oh, non è meglio il Cielo?», rispose quando gli fu detto che al Santuario della Madonna di San Luca molti pregavano per lui. Mentre tutti trepidano per la sua vita, Bruno rimane calmo e lieto, persino ilare, con l’unica preoccupazione di far tesoro dei suoi dolori per l’eternità.
Dal Seminario Romano arriva mons. Pier Carlo Landucci a portargli, come direttore spirituale, il conforto suo. Lo prepara all’incontro definitivo con Gesù e gli raccomanda: «Prega per i tuoi compagni, affinché diventino sacerdoti santi». Bruno risponde con il suo sorriso: «Sì, padre, santi e bravi». Con entusiasmo, accetta la proposta di offrire la sua vita in olocausto «affinché il Signore renda il Seminario Romano un giardino di santità e di sapienza sacerdotale».
Alle prime ore del 29 luglio 1938, Bruno Marchesini, 23 anni di età, contemplava Dio. Sul letto di morte, da vero alunno del Seminario Romano, aveva ripetuto spesso l’invocazione alla Madonna, sempre tanto amata: «Mater mea, fiducia mea».
Il 21 ottobre 1949, per volontà del card. Nasalli Rocca, i resti di Bruno Marchesini sono stati traslati, dal campo riservato ai sacerdoti nel cimitero della Certosa di Bologna, alla chiesa del medesimo cimitero, sotto lo sguardo di un dolcissimo Crocifisso.
In seguito, il 18 marzo 1964, sono stati collocati nella cattedrale di San Pietro, nel secondo pilastro della navata destra, accanto all’altare di Sant’Apollinare.  Sulla lapide, la stessa che chiudeva il suo sepolcro alla Certosa, sta scritto in aureo latino: «Suavissimus virtutis flos/ Angelorum æmulus/ Bruno Marchesini clericus/ spes Ecclesiæ Bonomiensis/ studiorum laude præclarus/ morum innocentia præclarior/ amplissima brevis vitæ merita/ sancto obitu cumulavit».
Di Bruno Marchesini, di cui è in corso la causa di beatificazione, possiamo solo dire quanto scrisse Julien Green (Diario, vol. V): «Ho contemplato albe e tramonti in diverse parti della terra, ho visto spettacoli imponenti di forze di natura scatenate, ho ammirato capolavori artistici […] ma per me la realtà più meravigliosa del mondo è il passaggio di Dio in un’anima».


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2011-08-25

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