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Sant' Erlembaldo Cotta di Milano Martire

28 giugno

† Milano, 28 giugno 1075


Appartenente alla famiglia Cotta, famiglia di capitani e perciò della più alta nobiltà milanese, nel 1062 successe al fratello Landolfo Cotta, uno dei fondatori della Pataria con sant'Arialdo, che per una grave, mortale infermità era stato costretto ad abbandonarne la direzione. Con Erlembaldo il movimento della Pataria assume sempre più una fisionomia politica e popolare di avversione alla politica accentratrice degli imperatori germanici e di lotta alla feudalità locale. Del santo lo stesso cronista Landolfo Seniore, che pure era del partito avverso, fa il seguente ritratto: «Ecco Erlembaldo, fratello di Landolfo, di grande stirpe di capitani, valoroso guerriero per sua natura, la barba di color purpureo lunga giusta le antiche usanze, piccolo il volto, gli occhi aveva d'aquila, il petto di leone: era fornito di maravigliose facoltà intellettuali, cauto nell'arringare il popolo, nelle battaglie forte come Cesare: era di bello aspetto, di cuore elevato, nelle avverse vicende costante: il corpo aveva gracile, ma ben proporzionato in tutte le membra. Provvido nei consigli, tollerante nelle fatiche, rotto alla vita delle armi, più studiavasi di non offendere i doveri della milizia che non quelli della natura». L'attività che, con parola suadente, sant'Arialdo gli aveva proposta, era conforme ai suoi gusti personali: tuttavia, prima di accettare, volle recarsi pellegrino a Roma per pregare sulla tomba di san Pietro e chiedere consiglio a papa Alessandro II (1061-73), l'antico Anselmo da Baggio, iniziatore del movimento patarino a Milano con Arialdo e Landolfo Cotta fino alla sua nomina a vescovo di Lucca (1056). Alessandro II non solo lo incoraggiò ad accettare, ma lo nominò anche gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. Di ritorno da Roma nel 1063, Erlembaldo andò a stabilirsi nella casa di fronte alla chiesa di San Vittore, situata nell'odierna via P. Verri, ove si diceva avesse abitato il nobile milanese Lanzone (1040 ca.), iniziatore ed organizzatore di un movimento popolare che poi porterà, attraverso alterne vicende e con il contributo anche della Pataria, al sorgere del Comune di Milano.
Recatosi a Roma nel 1065 per fare di nuovo presente la gravità della situazione milanese (la maggioranza del clero, infatti, non osservava i decreti riformatori contro la simonia e la clerogamia, e tutto questo avveniva con l'evidente appoggio dell'arcivescovo Guido da Velate), ritornò nel maggio 1066 portando seco le Bolle di scomunica contro l'arcivescovo Guido da Velate, il quale, il 4 giugno 1066, festa di Pentecoste, riuscì a sollevare il popolo contro la Pataria in genere e, in particolare, contro Arialdo ed Erlembaldo accusandoli di voler rendere Milano schiava di Roma. La morte di sant'Arialdo, capo spirituale della Pataria, avvenuta pochi giorni dopo, e precisamente il 28 giugno 1066, fu un forte colpo per il movimento, il quale, però, sotto la guida di Erlembaldo, riuscì a riprendersi. Il corpo straziato di sant'Arialdo fu trasportato a Milano il 17 maggio 1067 e l'arcivescovo Guido chiese ai legati pontifici presenti, la penitenza e l'assoluzione dalle scomuniche in cui era incorso. In quella occasione, tuttavia, i legati pontifici moderarono gli eccessi di zelo di Erlembaldo e dei suoi. Nel 1068 l'arcivescovo Guido rinunziava all'episcopato milanese nelle mani di Enrico IV: sentiva di non godere più di alcuna autorità sul popolo della sua città. Enrico IV nominò in sua vece il proprio cappellano, Goffredo da Castiglione Olona (Varese), che il papa invece condannò come simoniaco. Erlembaldo ed i suoi strinsero d'assedio l'arcivescovo Goffredo nel suo castello di Castiglione Olona allo scopo di catturarlo e farlo dimettere, ma fu invano. Frattanto Guido da Velate moriva, molto amareggiato, il 23 agosto 1071. Erlembaldo, col consenso del legato pontificio, il 6 gennaio 1072 fece proclamare arcivescovo Attone, membro del clero ordinario, di nobile famiglia e di età molto giovane, il quale, però, prima ancora di essere consacrato vescovo, fu costretto dalla parte avversa a rinunziare. Gregorio VII, eletto papa nell'aprile 1073, esortò Erlembaldo ed i suoi a proseguire nell'opera di riforma, pur consigliando moderazione nei riguardi degli avversari che si pentivano. Senonché il risorgere in forma acuta della lotta tra papato ed impero, per la questione delle investiture, fece riaccendere i contrasti a Milano tra i patarini e gli avversari della riforma. Questi ultimi, forti dell'appoggio di Enrico IV, colsero l'occasione del rifiuto di Erlembaldo di lasciare adoperare il Sacro Crisma consacrato da un vescovo scismatico, per assalirlo (28 giugno 1075) sul sagrato del duomo e ucciderlo. Erano trascorsi esattamente nove anni dalla morte di sant'Arialdo.
Il suo corpo, rimasto insepolto per più giorni, fu inumato da alcuni suoi fedeli seguaci, senza accompagnamento di clero, nella chiesa di San Dionigi, a Porta Orientale. Papa Urbano II, trovandosi a Milano nel maggio 1095, insieme coll'arcivescovo Arnolfo III ne fece solennemente collocare i resti gloriosi in un sepolcro più onorifico, sul quale sarebbe stata scolpita la seguente iscrizione.
«Hic Herlembaldus miles Christi reverendus
occisus tegitur, qui caeli sede potitus
incestus reprobat, simonias et quia damnat
hunc Veneris servi perimunt Simonisque maligni.
Hurbanus summus presul dictusque secundus
noster et Arnuiphus pastor pius atque beni, nus
huius membra viri tumulant transiata beati».
Questa solenne traslazione equivale a una canonizzazione di Erlembaldo. Il 5 febbraio 1528 il suo corpo, insieme con quello di altri santi milanesi, sarebbe stato traslato in duomo. Nella primavera del 1940 il cardinal Schuster annunziava di averne ritrovate in duomo le reliquie insieme con quelle di sant'Arialdo. A differenza di quest'ultimo, Erlembaldo non viene ufficialmente ricordato nella liturgia della Chiesa di Milano.


Autore:
Antonio Rimoldi


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2011-08-23

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