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Mary Tudor Regina d'Inghilterra

Testimoni



Enrico VIII aveva tanto desiderato un figlio maschio che gli succedesse al trono e che portasse avanti la nuova dinastia che era stata iniziata da suo padre, Enrico VII. Solo così la stabilità politica sarebbe stata assicurata. Ma quale stabilità può assicurare un re di nove anni? Giacché Enrico morì nel 1547 e, come al solito, i giochi furono fatti dal reggente al trono. Quanto al comitato di reggenza, inutile dire che da subitissimo, prima ancora che il corpo si raffreddasse e che il popolo venisse a sapere della morte del re, erano partiti i colpi bassi tra i suoi membri. Emerse vincitore Edward Seymour, zio materno del piccolo re, che ora si autoproclamò protettore, si accollò un bel titolo ducale e cominciò ad accumulare ricchezze. Il Paese fu lasciato allo sbando da una classe dirigente che pensava esclusivamente ai propri interessi.

Eodardo VI e la protestantizzazione dell’Inghilterra


Quanto alla Chiesa, Seymour si avvicinò anche personalmente a Calvino e diede a Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury, il via libera per un culto veramente “riformato”. Il famoso Libro di preghiera comune, pilastro dell’anglicanesimo, è del 1549. Esso spazzò via gli elementi tradizionali che erano stati preservati dallo scisma di Enrico VIII: via il latino, via il celibato, quasi tutti i sacramenti compresa l’Eucaristia, via la presenza reale di Cristo, via le immagini, le vetrate a mosaico e persino gli altari di pietra delle chiese, sostituite da semplici tavole di legno.
Fu però mantenuta, e permane a tutt’oggi, la gerarchia ecclesiastica, che, in un certo senso, rende l’anglicanesimo la confessione protestante più “simile” al cattolicesimo. Perché? Non certo per comunanza di vedute. Il vero motivo è che, in una Chiesa di Stato, e in una dittatura, vescovi e parroci sono strumenti estremamente utili per divulgare dai pulpiti i dettami governativi, per organizzare una struttura burocratica gerarchica compatta e, non ultimo, per tastare il polso della popolazione e poi riferire ai superiori. E, in quegli anni, il polso era febbricitante; sia per il malgoverno, sia per le continue riforme in campo ecclesiastico. Eloquente è il fatto che, per soffocare nel sangue le gravi ribellioni che scoppiarono, fu necessario assoldare truppe mercenarie tedesche e svizzere.
La protestantizzazione del Paese procedette in quegli anni a tappe forzate: oltre a propinare al popolo le sue Omelie ufficiali, infatti, Cranmer convocò da oltremare predicatori e docenti universitari appartenenti a diverse confessioni anticattoliche (mai in pieno accordo tra loro) e offrì loro prestigiose cariche universitarie. Approfittando della confusione dottrinale, molti furono i seguaci di varie sette ereticali che trovarono rifugio in Inghilterra dalle persecuzioni dei protestanti meno estremi. Giacché il nostro concetto di “tolleranza” era completamente estraneo alla mentalità del tempo, a qualunque schieramento si appartenesse: in Europa, ad esempio, i luterani odiavano insieme calvinisti e zwingliani, ma si univano a loro nel mandare al rogo anabattisti e affini.
Nelle alte sfere edoardiane, intanto, la lotta per il potere non era certo terminata e, al primo segno di debolezza del Protettore, un altro fu lesto a farlo arrestare (e poi decapitare) e a soffiargli il posto. Nel 1551 John Dudley, conte di Warwick, si autoproclamò duca di Northumberland e sostituì Seymour nella direzione del Paese. La politica di protestantizzazione procedette sempre più decisa.

La “regina dei nove giorni”

Ma quando, a quindici anni, il re si ammalò, a Northumberland tremarono le vene e i polsi: secondo il testamento di Enrico VIII, infatti, il trono sarebbe dovuto andare alla cattolica Mary, che avrebbe stravolto tutto l’“ordine” costituito e avrebbe mandato a casa, per non dire in prigione, lui e i suoi sicari. Tentò allora una mossa estrema: convinse Edoardo a modificare la linea di successione e a conferire il trono a una sua giovane parente protestante (discendente dalla sorella minore di Enrico VIII), lady Jane Grey, che egli aveva già provveduto a far sposare a suo figlio, Guildford Dudley. Forse spaventato dallo spauracchio papista, anche in vista del giudizio divino che doveva subire a breve, Edoardo firmò dunque un nuovo atto di successione che escludeva entrambe le sorellastre (Mary ed Elizabeth) dal trono. Morì in pace, il 6 luglio 1553, certo di aver fatto il suo dovere di sovrano illuminato.
Lady Jane, la patetica “regina dei nove giorni”, fu solennemente proclamata a Londra; i fidi predicatori regi, Cranmer in testa a tutti, proclamavano intanto l’illegittimità delle due figlie di Enrico VIII bollandole come bastarde.

Maria la Cattolica


Mary Tudor, la cattolica figlia di Caterina d’Aragona, alla quale il trono spettava di diritto, stava per essere arrestata da un drappello di soldati e gettata nella Torre. Ella si mosse in fretta: fuggì nel Norfolk, cominciò a radunare seguaci e marciò su Londra. Persino il cattolico Carlo d’Asburgo, Sacro Romano Imperatore e primo cugino della principessa, rifiutò di prendere posizione a favore di una causa che tutti consideravano perduta in partenza. Fu questo, invece, uno dei momenti in cui emerge in modo più chiaro da che parte stesse il cuore del popolo inglese: tutti, compresi i soldati inviati contro di lei, si schierarono a fianco di Mary. L’alleanza di Northumberland e dei suoi si sciolse all’istante come neve al sole. La nuova regina, quella vera, entrò trionfalmente nella città di Londra e fu proclamata senza mietere una sola vittima.
Guardato da vicino, il regno di Mary smentisce tutte le immagini convenzionali, tutte le etichette affibbiatele dalla storiografia ufficiale. Perché, naturalmente, la storia è scritta dai vincitori e, come tutti sanno, in Inghilterra Mary non vinse. Ma non perché fosse odiata dai suoi sudditi (tutt’altro): solo perché il poco tempo che ebbe a disposizione, cinque anni, bastò appena a iniziare il compito titanico che ella si trovava di fronte, quello di restituire l’Inghilterra alla fede cattolica.
Non appena morta, l’impresa fu fatta naufragare dalla sorella, la quale ebbe invece più di quarant’anni per imporre il suo regime personale. Così Elizabeth Tudor divenne “la buona regina Bess” mentre Mary, ma solo dopo la sua morte, fu etichettata come “sanguinaria”.

Un popolo ancora cattolico

Quando salì al trono, nel 1553, era profondamente amata. La gente era con lei perché era la legittima erede, perché era figlia di Caterina e, soprattutto, perché era cattolica. Nonostante la grande confusione dottrinale introdotta da Enrico e Edoardo, infatti, il popolo era rimasto cattolico a grande maggioranza.
Ancor prima che il parlamento avesse il tempo tecnico per abrogare il protestantesimo di Stato, ovunque si tornò a dir Messa in latino e, come per incanto, gli oggetti e libri sacri, le immagini, i paramenti si erano salvati dal furore iconoclasta del regno precedente ricomparvero nelle chiese. I protestanti inorridirono. I più intolleranti e benestanti, circa 800, si prepararono a lasciare il reame, non per paura ma per sfuggire all’inquinamento della religione. Sono i famosi “esuli mariani”. Poi, dall’estero, cominciarono a tramare per spodestare la regina papista e a sobillare i correligionari rimasti in patria.

Maria e Reginald Pole

Mary si trovava in una posizione difficilissima: il Paese era sull’orlo della bancarotta, i ministri più competenti (ereditati dal regno del fratello) erano anche i meno fedeli, il protestantesimo calato dall’alto aveva confuso molti. Che fare? La prima mossa fu quella di concedere, per il momento, la libertà religiosa; nel frattempo il parlamento avrebbe stabilito il da farsi.
Altra urgenza era quella di trovare un adeguato sostegno nel matrimonio giusto. E qui si scatenarono le fazioni. L’Imperatore, il suo primo cugino Carlo V d’Asburgo, offrì alla nuova regina il proprio figlio, il principe Filippo di Spagna. Mary avrebbe voluto farsi consigliare, in una scelta tanto importante, dall’uomo che più stimava al mondo; Carlo, però, si assicurò che quell’uomo giungesse in Inghilterra, dall’Italia, solo a matrimonio concluso. Parliamo del cardinal Reginald Pole, esule enriciano e figlio di santa Margaret di Salisbury.
Giunto che fu in patria, Pole fu consacrato arcivescovo di Canterbury e riconciliò ufficialmente l’Inghilterra con Roma. Il dissenso protestante si espresse attraverso diverse ribellioni, per lo più fomentate o appoggiate nientemeno che dal cattolico Re di Francia, che vedeva in Mary una pedina spagnola. I ribelli furono trattati con una clemenza fino ad allora assolutamente inaudita.
Subito Pole procedette a un grande progetto di rievangelizzazione dei semplici, inviando predicatori, incoraggiando opere catechetiche e devozionali appositamente pensate per l’Inghilterra in quel periodo specifico. Anche la liturgia fu particolarmente curata e la gente rispose in massa. Dall’Italia, dove aveva partecipato ad alcune sessioni del Concilio di Trento, Pole portava venti di novità: diversamente da quanto solitamente si afferma, dunque, non era affatto il vecchio cattolicesimo medievale che Mary volle ora riproporre, ma quello vivo della Riforma cattolica. Non volle riportare indietro l’orologio: volle sintonizzarlo con quello romano.
Una delle novità introdotte da Pole addirittura precedette l’Italia, in quanto egli applicò i decreti tridentini per istituire seminari. Anche qui, la reazione della gente non si fece attendere: ci fu tutto un fermento, tutto un rifiorire, non solo di vocazioni religiose ma anche di iscrizioni universitarie, che nel regno precedente erano colate a picco.

Una luce storica sui roghi mariani

La legge sull’eresia divenne attiva all’inizio del 1555, nel secondo anno di regno, perché i cosiddetti eretici erano innanzitutto implacabili avversari politici che puntavano al regicidio per riportare l’Inghilterra alla vera religione.
Tra i nobili e i vescovi, quelli che erano stati i cattolici apostati che, diversamente da Mary, si erano piegati come fuscelli sotto Enrico ed Edoardo vollero ora dimostrarle il loro ritrovato ardore, la loro ormai incrollabile ortodossia; fu anche per questo che partirono i roghi. E qui il discorso si fa complesso.
Innanzitutto l’unica autorità in materia, l’unico “documento” che li attesta con precisione, non è l’opera di uno storico bensì di John Foxe, un fervoroso apologeta protestante che ai tempi della persecuzione mariana non era nemmeno in Inghilterra. Fu Foxe a coniare l’epiteto “Bloody”, sanguinaria, maledetta, non solo per Mary ma anche per tutti i suoi collaboratori. Nel suo celebre Book of Martyrs egli enumera ben 273 vittime, tutti poveri agnelli innocenti. Diversi storici del nostro tempo hanno però dimostrato come egli avesse gonfiato le cifre; anche gli apologeti cattolici a lui contemporanei lo accusarono di aver falsificato i dati. Gli atti dei processi, che egli disse di aver consultato, erano malauguratamente già andati perduti.
I roghi, quanti che fossero, rimangono comunque un fatto storico e non si possono certo negare né difendere. Però si possono, anzi, si devono collocare nel loro giusto contesto. Tanto per cominciare, le condanne alla pena capitale per reati comuni erano in quei luoghi e in quei tempi talmente frequenti e diffuse che essi non andarono a incidere che minimamente sulle esecuzioni annuali, che per tutto il Cinquecento furono circa 800 l’anno e (fino al Settecento) si applicarono anche a reati minori quali il piccolo furto; né i condannati a vari misfatti smisero di essere arsi dopo la morte di Mary. Furono certo ingiusti, ma non crearono scalpore. Non prima di Foxe, almeno.
Il Book of Martyrs dedica più di 800 pagine (su 1.300 che partono dalle origini del cristianesimo) a sole 17 vittime: a quelli, cioè, che furono certamente i martiri più famosi e, secondo Foxe, più santi, Thomas Cranmer in testa a tutti. Ma essi erano in realtà anche i peggiori nemici politici della regina, quelli che avevano continuato a tramare contro di lei e a insultarla in quanto illegittima, e sarebbero stati comunque condannati a morte per alto tradimento.
È vero che la pena del rogo fu riservata anche a numerosi popolani che, rigorosamente parlando, nel resto d’Europa non sarebbero stati perseguibili per eresia in quanto non sufficientemente informati. Ma in diversi casi, purtroppo, intervennero l’ordinaria crudeltà umana e il desiderio di rivalsa.
È brutto dirlo, ma i roghi ebbero luogo anche perché la gente non li disapprovava; al contrario, li incoraggiava e persino, a volte, li strumentalizzava per regolare vecchi conti in sospeso e per vendicare alcuni dei torti subiti sotto Edoardo. Non mancano casi di persone assolte dal tribunale ma riarrestate a richiesta popolare.
Ma c’è un lato ancora peggiore della vendetta privata: quello del puro opportunismo. Da una parte, infatti, come si è accennato, numerose condanne furono una dimostrazione di zelo da parte di vescovi che si erano macchiati di apostasia e volevano ora dimostrare la propria ortodossia alla regina e al suo consorte, il principe spagnolo Filippo d’Asburgo; in questo modo, i martiri protestanti erano mandati al rogo da coloro che fino a pochissimi anni prima li avevano portati fuori strada, predicando che il Papa era l’anticristo, e ora avevano ritrattato dichiarando di essersi leggermente sbagliati.
Dall’altra, non furono pochi coloro che, appartenenti ai ceti medio-bassi, furono mandati a morire proprio dai propri dotti correligionari, i quali, dal loro comodo esilio, li spingevano a resistere fino al martirio in nome delle vera fede. Diversi dei martiri erano fanatici che insistettero deliberatamente nel bestemmiare il Santissimo Sacramento anche dopo essere dapprima stati graziati. La vulgata ufficiale dimentica inoltre che la maggior parte dei processi si concluse in realtà con l’assoluzione, non con la condanna.
Nell’ultimo anno del regno di Mary, il 1558, sia i persecutori che i perseguitati divennero meno intransigenti. Nel frattempo il programma di rieducazione del popolo organizzato da Pole procedeva a gonfie vele. L’élite protestante, in Patria e oltremare, era disperata e invocava il regicidio come unico rimedio. Senonché a questo punto, commenta un famoso storico, «Mary commise il suo unico errore grave, anzi, fatale: morì». Alla fine del 1558, nello stesso giorno in cui moriva anche il cardinal Pole. E il trono andò alla sua protestante sorella. Ma qui comincia un’altra storia, quella di Elisabetta I Tudor.


Autore:
Elisabetta Sala


Fonte:
Il Giudizio Cattolico

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Aggiunto/modificato il 2013-02-03

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