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Servo di Dio Angelo Bosio Sacerdote

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Lovere, Bergamo, 12 marzo 1796 – 9 dicembre 1863

Don Angelo Bosio, sacerdote della Diocesi di Brescia, trascorse il ministero perlopiù nella sua città natale, Lovere, sul lago d’Iseo, dove fu dapprima vicario, poi parroco nella parrocchia di San Giorgio. Fu un valido predicatore di missioni popolari e un attento direttore spirituale. Due anime in particolare furono da lui guidate, in vista della fondazione di un nuovo Istituto religioso: Bartolomea Capitanio e Caterina (poi suor Vincenza) Gerosa, iniziatrici delle Suore di Carità dette di Maria Bambina. La sua Causa di Beatificazione, dopo l’approvazione degli scritti, non ha avuto ulteriori sviluppi.



Angelo Bosio nacque a Lovere, cittadina situata sul lago d’Iseo, in provincia di Bergamo ma diocesi di Brescia. Suo padre si chiamava Giovanni Battista: dal suo matrimonio con Lucia Banzolini nacquero sei figli, dei quali Angelo era il quarto. Tutti si consacrarono a Dio: le tre femmine rimasero nel mondo, mentre i fratelli maschi divennero sacerdoti, ad eccezione del secondogenito Simone. La famiglia era complessivamente benestante, con piccoli possedimenti e proprietà, ma non perdeva di vista la fede.
Quando Angelo ebbe quattro anni, divenne parroco della parrocchia di San Giorgio a Lovere don Rusticiano Barboglio, che gli fu maestro non solo a scuola, tanto da accendergli in cuore il desiderio di diventare sacerdote. Entrato nel Seminario di Brescia, ebbe un comportamento sempre serio e studioso, non trascurando né la Messa né le pratiche di devozione. Era costante anche nei giorni di vacanza: una lettera di don Rusticiano al vescovo, monsignor Gabrio Nava, attesta che il chierico Bosio s’impegnava nell’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini.
Nel 1817, però, dovette tornare a casa per motivi di salute, così il vescovo gli concesse di proseguire gli studi come “chierico privato”. Due anni dopo, assistette al trapasso della sorella Francesca, dopo il quale rientrò in Seminario e venne nominato prefetto dei chierici esterni.
Il 1820 vide il giorno della sua ordinazione sacerdotale, nella cappella del palazzo vescovile di Brescia, seguita dalla Prima Messa, celebrata nella basilica loverese di Santa Maria in Valvendra. Dopo aver trascorso un po’ di tempo in famiglia, don Angelo venne scelto da monsignor Nava come suo segretario, succedendo nell’incarico a don Lodovico Pavoni, poi fondatore dei Figli di Maria Immacolata (Beato dal 2002). Dopo due anni, desideroso di dedicarsi ad un apostolato più attivo, ottenne di essere destinato coadiutore del prevosto di Lovere, che era ancora don Rusticiano.
Nel frattempo, venne incaricato di accompagnare il rampollo di una nobile famiglia milanese a Roma e a Napoli. Il viaggio, svolto fra l’agosto e l’ottobre 1824, fu per il giovane sacerdote l’occasione per allargare i suoi confini culturali. A Napoli fu particolarmente colpito dalla visita al convento di Regina Caeli, dove, dal 1810, si erano insediate le Suore di Carità fondate da santa Giovanna Antida Thouret.
Tornato a Lovere, si dedicò ad un’intensa attività come predicatore missionario. Il suo caposaldo era la devozione al Sacro Cuore di Gesù, vista come antidoto al giansenismo, che imperversava in Valcamonica e zone limitrofe. Più in generale, si rifaceva alla spiritualità di sant’Ignazio di Loyola, coniugata con quella di san Vincenzo De Paoli.
Ebbe anche l’incarico d’insegnante di religione e confessore presso l’educandato aperto dalle Clarisse un anno dopo il loro ritorno in città, dopo che ne erano state allontanate a causa delle leggi eversive. Fu lì che incontrò una ragazza dotata di un carattere determinato e di altissime ispirazioni: Bartolomea Capitanio. Fra i due s’instaurò una direzione spirituale feconda da entrambe le parti: mentre lei gli confidava il suo desiderio di farsi santa, lui le apriva gli occhi ai bisogni della società del tempo.
Così il 21 novembre 1832, presso l’altare dell’Addolorata nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, Bartolomea e Caterina Gerosa, alla cui opera caritativa la ragazza si era associata, compirono il loro atto di consacrazione a Dio, alla presenza di don Rusticiano e di don Angelo. Il contributo del coadiutore non si limitò a questo: d’accordo col vescovo, andò a Vercelli, sede della più vicina casa delle Suore di Carità di santa Giovanna Antida, per esaminarne la Regola, che fu adottata poi dalle prime compagne della Capitanio.
Don Angelo si rendeva presente alla comunità con visite, con istruzioni, con consigli, ma dovette intensificare le proprie attenzioni quando Bartolomea cadde malata: accorso al suo capezzale il mattino del 26 luglio 1833, fece in tempo a vederla rendere l’anima a Dio. Le sue compagne erano sconvolte, tanto più che si erano mossi i primi passi per il riconoscimento giuridico dell’Istituto, ma la più amareggiata era Caterina Gerosa. Un aneddoto racconta che un giorno decise di fare le valigie e di lasciare il “Conventino” (così chiamavano la loro sede), ma, giunta all’incrocio di due strade, dove sorgeva una fontanella pubblica, s’imbatté in don Angelo, che le raccomandò di restare. Leggenda o no, sta di fatto che lei si mantenne ubbidiente ai suoi consigli, benché si sentisse inadeguata a un ruolo di responsabilità.
A tre anni esatti dalla fondazione, si compì la prima vestizione. Il 19 maggio 1836, all’unanimità, Caterina venne eletta Superiora, mentre il 14 settembre 1841, con la Professione religiosa compiuta in San Giorgio, assunse il nome di suor Vincenza, in onore di san Vincenzo De Paoli. Insieme alle altre suore, si prodigò durante un’epidemia di colera, esplosa nel luglio di quell’anno. Ad affiancarla c’era Francesca Bosio, in religione suor Teresa, nipote di don Angelo.
Il 7 settembre 1834 arrivò una nomina anche per lui: una lettera, che costituisce il primo riconoscimento pubblico dell’Istituto, lo dichiarava “sorvegliante politico governativo”. L’espressione è motivata dalla situazione ancora problematica che avevano le nascenti comunità religiose, ma per lui non fu un semplice titolo: precedeva le suore nei luoghi dove si sarebbero stabilite e, al momento giusto, sapeva farsi in disparte. Durante tutta la sua vita, ci furono settanta fondazioni, comprese quella dell’Ospedale Ciceri di Milano e l’introduzione nelle carceri di Venezia.
Sin dal 1834 tenne conferenze mensili, incoraggiando le religiose con espressioni come: «Il regno di Dio è dentro di voi, quindi non conviene andare lontano per cercare Gesù, il caro vostro sposo, poiché egli si trova dentro il vostro cuore», oppure: «Se bramate avanzare nella virtù, parlate poco, pochissimo».
Alla morte di don Rusticiano, avvenuta il 29 gennaio 1840, venne nominato suo successore e fece il suo ingresso solenne nel settembre dello stesso anno. Pur senza tralasciare la cura per la parrocchia, si adoperò affinché la memoria di Bartolomea, della quale aveva commissionato la biografia tempo prima, non andasse persa: nel 1843, infatti, iniziò le prime fasi del suo processo di beatificazione.
Il 29 giugno 1847 un nuovo lutto colpì l’Istituto: quello per la scomparsa di suor Vincenza. Mentre don Angelo cantava il “De Profundis” per lei, dovette interrompersi a causa della commozione, che aveva preso non solo lui e i sacerdoti presenti, ma anche il popolo. A succederle fu, come vicaria, suor Crocifissa Rivellini.
Consolidato l’Istituto, venne il tempo della missione. Don Angelo, infatti, aveva accettato l’invito di monsignor Giuseppe Marinoni, ambrosiano, tra i fondatori del Pontificio Istituto per le Missioni Estere, ad inviare alcune suore nel Bengala. L’11 febbraio 1860, dal porto di Trieste, partirono le prime quattro suore, incoraggiate da una lettera, datata 18 gennaio, dove don Bosio le paragonava agli operai inviati nella vigna di cui parla il Vangelo, esortandole ad andare armate di umiltà e carità e a confidare nella Provvidenza.
Di fronte a quanti lamentavano l’ingerenza ecclesiastica nell’educazione e negli ospedali, oppure osteggiavano il Papa, fu molto amareggiato, ma confidava continuamente in Dio. Anche per questo motivo la sua salute, per la quale Bartolomea Capitanio, finché visse, si preoccupò molto, subì un tracollo improvviso negli ultimi mesi del 1863.
Dopo aver disposto meticolosamente circa i suoi affari, si spense nella notte tra l’8 e il 9 dicembre 1863, assistito da madre Teresa e da un altro nipote, Francesco, sacerdote della Compagnia di Gesù.
Il 30 gennaio 1936 i suoi resti mortali, a cui furono poi affiancati quelli di altri parenti, inclusa madre Teresa, vennero traslati nella cripta dell’erigendo Santuario di Cristo Re dei Vergini, nella cui chiesa superiore, tempo dopo, vennero portate le spoglie delle sue figlie spirituali Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, che la Chiesa onora come Sante dal 1950.
Quanto a don Angelo, il decreto sui suoi scritti è stato promulgato il 16 settembre 1869, ma da allora la Causa per la sua beatificazione non ha ricevuto ulteriori sviluppi. Il suo ricordo, però, persiste a Lovere e tra le Suore di Carità, popolarmente note come Suore di Maria Bambina.

PREGHIERA
Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che nella tua onnipotente bontà hai fatto nascere e dotato di grazie speciali il sacerdote Angelo Bosio, e lo hai messo a capo della parrocchia di Lovere come lampada sul candelabro per guidare gli altri sulla via della santità, concedici di imitare generosamente le sue virtù, specialmente la sua carità verso di te e verso il prossimo, la sua fede incrollabile, il suo spirito di preghiera e di penitenza.
Glorifica il tuo zelante sacerdote, concedigli di continuare la sua opera soccorritrice anche con noi e con tutti quelli che lo invocano, dimostrando in tal modo la potenza della sua intercessione.
Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre.

IMPRIMATUR
in Curia Arch. Mediol., die 21. 5. 1951
+ Domenico Bernareggi, Vicario Generale

Per informazioni e segnalazioni di grazie ricevute
Suore di Carità delle Sante Capitanio e Gerosa dette di Maria Bambina
Casa Generalizia: via Santa Sofia 13, 20122 Milano (MI)
Casa Madre: via Santa Vincenza Gerosa 14, 24065 Lovere (BG)


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2013-05-29

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