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Beato Mario Ghibaudo Sacerdote e martire

19 settembre

Borgo San Dalmazzo, Cuneo, 19 gennaio 1920 - Boves, Cuneo, 19 settembre 1943

Mario Ghibaudo nacque a Borgo San Dalmazzo (Cuneo) il 19 gennaio 1920. Percorse il periodo di studi in Seminario con un bel gruppo di compagni, preparandosi con generosità al momento difficile di guerra in cui vennero a trovarsi negli ultimi anni. Fu ordinato prete con sei confratelli il 19 giugno 1943. Il 1° luglio successivo fu destinato come viceparroco alla parrocchia di San Bartolomeo a Boves. Si buttò con entusiasmo nell’apostolato con i giovani in quel contesto sconvolto dalla paura e dall’odio. Tramite un cappellano della vicina caserma di Alpini entrò in contatto con il movimento “la Dieci”, fondato da don Didimo Mantiero. Il 19 settembre 1943, durante il rastrellamento operato in paese dalle truppe tedesche, mentre il parroco don Giuseppe Bernardi era già loro ostaggio, don Mario si prodigò ad aiutare persone anziane a mettersi in salvo fuori paese, fino a quando, mentre assolveva un anziano moribondo, venne colpito da un soldato tedesco, che infine lo pugnalò. La causa dei due sacerdoti si è svolta inizialmente nella diocesi di Cuneo, dal 31 maggio 2013 al 5 giugno 2014. Il 9 aprile 2022 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sul loro martirio. La loro beatificazione è stata celebrata il 16 ottobre 2022, in piazza AVIS a Boves. I resti mortali di don Giuseppe e don Mario riposano dal 26 aprile 2016 nella chiesa di San Bartolomeo a Boves, in una medesima tomba.



Don Mario Ghibaudo nasce a Borgo San Dalmazzo (Cuneo) il 19 gennaio 1920. È il terzogenito di Dalmazzo, tipografo compositore all’Istituto Grafico “Bertello”, e di Maria Rolando, casalinga.
Nel 1926 Mario riceve la Prima Comunione e nel 1928 la Cresima. In un tema svolto a 16 anni scrive:
Ricordo il giorno della mia prima comunione […] Allora non capivo ancora a pieno l’importanza dell’atto che stavo compiendo, ma sono certo che da quel momento il pensiero “voglio farmi prete” non mi abbandonò più; era il prezioso dono che Dio, nel comunicarsi per la prima volta a me mi aveva portato.
Il 1 ottobre 1929 Mario entra in Seminario per frequentare la quarta elementare. Insieme a lui il suo inseparabile amico di infanzia, Francesco Brondello, con il quale percorrerà tutto l’iter del seminario. Da subito rivela ottime capacità intellettuali e si applica con impegno e profitto allo studio. Avendo ben chiara la meta, matura con serietà la sua vocazione al sacerdozio, passando negli anni del liceo attraverso una sofferta crisi adolescenziale che affronta con umiltà e decisione.
Insieme a Francesco Brondello coltiva un grande passione per la montagna: le vacanze estive sono occasione propizia per i due amici per affrontare le cime del Cuneese, ma anche il Rocciamelone e le montagne della Valle d’Aosta. Leggiamo in appunti manoscritti di don Francesco nel 1947:
Andava in montagna per unirsi a Dio. Per lui, la gita sui monti era soprattutto
una predica sublime che lo lanciava in Dio: era una elevazione,
un colloquio con Dio oltreché una palestra ove si temprava la volontà.
Per gustare la montagna bisogna aver l’anima monda, serena, tranquilla, cristallina.
Ecco perché, alle volte, prima di qualche grande gita si confessava.
Era la seconda volta che salivamo al Monviso (4 agosto1940).
Giungemmo alle 5 del mattino a Saluzzo. I portali del Duomo sono ancor chiusi.
Attendiamo. Alle 5,30 vengono aperti. Subito cerchiamo un confessore.
S. Messa e Comunione. Poi via, sulla corriera, alla volta di Crissolo.
L’anima cantava, serena, tranquilla. «Beati i puri di cuore  perché vedranno Dio».
Lassù sul Monviso l’avremmo visto.
Prende sul serio le responsabilità che gli vengono affidate: il servizio all’oratorio salesiano nell’anno scolastico 1941/42 e l’anno successivo in Seminario come assistente delle ultime classi del ginnasio. 
La sua parola d’ordine, che ripeteva sovente, era: “Fare tutto con entusiasmo”, e pieno d’entusiasmo egli era sempre, e quando cantava con noi, dopo averceli insegnati, i bei cori della montagna, e quando ci faceva vedere le sue foto dei monti e ci leggeva racconti di imprese alpinistiche e piacevoli novelle nelle interminabili serate d’allarme e quando ci magnificava la bellezza della natura … .
Frutto del lavoro di questi anni è una personalità matura e completa, ricca di buone e solide amicizie, capace di rapportarsi con le persone in maniera serena e nello stesso tempo autorevole. Il 19 giugno 1943 don Mario è ordinato sacerdote con altri 6 compagni dal Vescovo Mons. Giacomo Rosso. In tre sono di Borgo San Dalmazzo: don Mario, don Francesco Brondello e don Bernardino Graglia. Per le sue capacità era destinato a proseguire gli studi di specializzazione a Roma, dopo aver dedicato un periodo all’esperienza pastorale in parrocchia: per questo il 1 luglio 1943 viene nominato vicecurato a Boves. Nel nuovo campo don Mario mette a frutto il cammino compiuto: il cammino di un giovane che ha scoperto e gustato la bellezza dell’amore di Dio.
«Signore, che io sia tutto affascinato
dalla bellezza tua e da quella della Tua mamma»
Questa preghiera scritta da Mario diciassettenne
era divenuta piano piano la sua vita.
Il pomeriggio del 19 settembre don Mario segue l’evolversi della situazione dalla canonica, che allora era adiacente a piazza Italia. La prima uscita è per portare sollievo al suo parroco. Rientrato in canonica, provvede a far scappare il fratello del parroco (che fungeva da sacrestano) e la persona di servizio.
E poi si rimbocca le maniche per aiutare la gente a mettersi in salvo: prime fra tutte le orfanelle.
Don Mario Ghibaudo ci viene incontro dal fondo della piazza e ci accompagna fino alla Badina, dopo il cimitero. Ricordo che dall’altro bar più sotto c’erano soldati tedeschi e italiani che bevevano, bestemmiavano e buttavano bottiglie per terra. Il curato dice loro «Tacete, ragazzacci». E loro: «Ce n’è poi anche per te dopo». [Raggiunto un punto relativamente sicuro] don Mario torna indietro, noi volevamo che restasse con noi, ma lui dice «devo salvare altri e mettere in salvo anche il Santissimo della Confraternita».
Ma il suo non è solo l’aiuto di un soccorritore generoso: passando per le strade, dove oramai dilagano confusione e violenza, dona a tutti la benedizione e chiede all’uno e all’altro se desiderano l’assoluzione dei peccati.
Felice Masino, impiegato alla Fiat, incurante del trambusto, si prepara per tornare con la famiglia a Torino. Ha un “lasciapassare bilingue” per il quale si ritiene al sicuro anche in questa gravissima situazione. «In quel mentre arriva nel cortile il vice-curato, don Ghibaudo, vede Masino e gli chiede se vuole l’assoluzione. Masino, più per rispetto che per convinzione, dice di sì, non capendo però il gesto del prete che gli sembra esagerato»[1]. Un quarto d’ora dopo il signor Masino cadrà sotto gli occhi della moglie e dei figli.
Don Mario lo ha incontrato mentre sta portando in salvo su un carretto Maddalena Giubergia, una signora di 88 anni invalida. Da piazza Garibaldi si dirige verso la Cappella di San Rocco. Qui incontra un chierico e gliela affida: «Conduci avanti costei, giungerà una signorina, sua figlia, la quale è tornata a casa a prendere qualcosa. Io torno a salvare il SS. Sacramento, se posso».  È un tentativo inutile: oramai il centro del paese non è più raggiungibile. Torna verso la sua gente in fuga e ritrova il carretto più avanti, oltre il cimitero, in via Badina, con l’anziana abbandonata ai bordi del viottolo. Il seminarista, impaurito dagli spari di tre tedeschi che avevano aperto il fuoco sul gruppo, era scappato per i campi. Don Mario riprende il carretto, ma per poco. Raggiunge la famiglia Agnese che sta fuggendo con due nipotini, di cui uno disabile a causa della poliomelite. Ecco il racconto di quest’ultimo rilasciato di recente:
In zona Badina mia nonna Caterina e la zia Adelina [mi portavano] in carrozzella per mettermi in salvo; dietro c’era il nonno Michele con il mio fratellino Pietro. Lì vicino vidi passare don Mario con un carretto ed un’anziana. Una raffica di mitra colpì la carrozzella e fui sbalzato nel fossetto. Sbucò un soldato tedesco che con la pistola mi si avvicinò. La nonna urlò: «È un bambino!». Portai istintivamente le mani davanti al volto; la pistola fece cilecca. Ero salvo. Lo stesso soldato vide allora il nonno, gli si avvicinò e gli sparò alla nuca … . Don Mario accorse subito per dare l’assoluzione a mio nonno. Una raffica di mitra colpì la mano benedicente che volò in alto e la testa fu squarciata dai colpi. Vidi una nuvola di sangue, una grossa bolla di sangue. Cadde sul corpo di mio nonno …».[2]
La crudeltà della scena viene rappresentata da immagini più che narrata: la mano benedicente che vola, la nuvola di sangue. Essa, però, ci viene attestata senza ombra di dubbio dal verbale di accertamento del cadavere di don Mario, il quale evidenzia anche l’accanimento violento del soldato sulla vittima.
Il sottoscritto cappellano Militare Don Luigi Feltrin della Diocesi di Feltre dichiara quanto segue:
Il giorno 20 settembre alle ore 11 antimeridiane mi trovavo nella canonica di Borgo S. Dalmazzo in Cuneo. Alla stessa ora fu portato in auto il cadavere di don Mario Ghibaudo prelevato dal paese di Boves. Subito assieme alle Suore dell’Ospedale di Borgo, costatata la morte del detto sacerdote, passai alla costatazione della causa della morte, e, nel comporre la salma riscontrai tre gravi ferite al petto e alle braccia procurate da una raffica di mitraglia – e precisamente una al braccio destro – una al petto e una alla spalla sinistra. Inoltre riscontrai una grossa ferita al centro del petto che aveva rotto lo sterno ed era penetrata profondamente – detta ferita era stata procurata da arma bianca – probabilissimamente da una pugnalata. Infine altre contusioni alla fronte e al mento e alla mascella sinistra e alla bocca dove aveva un dente rotto.
Certamente aveva dovuto soccombere quasi immediatamente dopo la pugnalata sul petto. Tutto questo era successo in Boves la sera del giorno 19 settembre. Composta la salma e pulita dal copioso sangue – subito venne portata al cimitero di Borgo S, Dalmazzo dove nella serata dello stesso giorno 20 venne tumulata. Dalla veste in più parti lacerata, si poteva riscontrare che prima di essere mitragliato e pugnalato, aveva dovuto subire delle sevizie.
In fede di quanto sopra
Il Cappellano Militare del 7° Alpini “Feltre” D. Luigi Feltrin di Giovanni


Fonte:
www.donbernardiedonghibaudo.it

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Aggiunto/modificato il 2022-10-25

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