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Delphine de Fosseux Fanciulla

Testimoni

5 marzo 1959 – 23 aprile 1969

Delphine de Fosseux, bambina francese, all’età di sette anni fu colpita da un tumore osseo. Affrontò i ricoveri ospedalieri cercando di offrire sempre le sue sofferenze, sostenuta dalla preghiera dei familiari, che l’accompagnarono a Lourdes e a San Damiano Piacentino. Morì poco dopo aver compiuto dieci anni, il 23 aprile 1969.



Delphine nacque il 5 marzo 1959, figlia di Gérard e Isabelle de Fosseux, preceduta da Valérie e Ludovic (all’epoca l’una di due anni e mezzo, l’altro di uno e mezzo) e seguita dopo undici mesi da Béryl, nel Natale 1965 da Yolaine, e infine da Évrard. Trascorse la sua prima infanzia serenamente, giocando coi fratelli, ma anche incappando in piccoli incidenti domestici, ad esempio quando inghiottì una delle biglie di Ludovic.
All’età di sette anni, prese a partecipare, insieme a quattro coetanee, a un ritiro mensile in preparazione alla Prima Comunione, presso il convento delle Benedettine a Limon, in Borgogna. Alcune settimane prima di ricevere il Sacramento, Delphine divenne particolarmente intrattabile e disobbediente: la madre imputò questo comportamento all’azione del diavolo, ma forse la bambina era semplicemente nervosa. Il giorno fatidico, nel giugno 1966, era finalmente calma, con una coroncina di rose fresche sul capo, preparata dalle monache.
Alcuni mesi dopo, la bambina prese a stancarsi facilmente. Un giorno, mentre correva a tutta forza, urtò un braccio contro l’angolo del garage di casa e scoppiò a piangere. La madre, infermiera di professione, non riscontrò nulla di rotto, ma il dolore persistette per tre giorni.
Nel mese di agosto i coniugi Fosseux lasciarono i bambini dai parenti di Isabelle, e andarono a fare una gita in barca in Bretagna. Quando tornarono, appresero che Delphine continuava ad avere qualche linea di febbre. Le diedero un antibiotico, ma il braccio continuava a farle male.
Dopo una radiografia, il medico consigliò ai genitori di portarla all’ospedale di Villejuif. Quel nome li fece sussultare: si tratta, infatti, di un centro specializzato nella cura del cancro. Le analisi, in effetti, dimostrarono che la bambina aveva un tumore molto aggressivo, che si poteva tenere sotto controllo mediante la cobaltoterapia. La madre alternava momenti di sconforto ad altri di fiducia, mentre la figlia cercava d’infondere speranza sia a lei, sia agli altri degenti.
Il settembre 1966 vide il tanto atteso ritorno a casa di Delphine. I fratelli, sulle prime, non comprendevano tanto il senso di un trattamento speciale verso di lei, ma la madre cercò di insegnare loro ad aiutarsi reciprocamente. Quando però Valérie le chiese, sconvolta, se era vero che la sorella aveva un cancro, le mentì per il suo bene.
Terminata la cobaltoterapia, venne il momento di un pellegrinaggio a Lourdes. Approfittando dell’attrazione che la piccola aveva verso le candele accese di fronte alla grotta delle apparizioni, la madre le disse: «Le fiammelle delle candele a volte si spengono: devi dunque badare a non dire più “no”, perché i tuoi “no” saranno come vento che spegne i tuoi “sì”». Delphine non guarì, ma imparò a dire più spesso “sì” che “no”: prima, a casa, era soprannominata «Mademoiselle “Non”» («Signorina “No”»).
Nel febbraio 1967, insieme a Ludovic, ricevette la Cresima, sempre dalle Benedettine di Limon. Di lì a poco, il primo controllo a Villejuif non riscontrò alcuna anomalia, benché l’omero fosse diventato fragile come cristallo a causa del cobalto. Si cercò, in ogni caso, di far vivere a Delphine una vita normale, tanto che poté frequentare la scuola.
Verso marzo 1968, però, un nuovo controllo mostrò che stava per comparire una metastasi polmonare; la chemioterapia avrebbe distrutto i globuli bianchi e le piastrine. In effetti, andò così: ben presto Delphine ebbe un’emorragia interna e venne nuovamente messa sotto osservazione.
Un mese dopo, ripartì con la madre per Lourdes, dove fece propria una riflessione di santa Bernadette: «Quando il buon Dio permette qualcosa, non ci si lamenta».
Dopo una breve vacanza al mare, ricominciò il trattamento. Un giorno, nel vedere la suora che, due volte a settimana, le prestava le sue cure, commentò: «È molto meglio quando è una religiosa a farle, perché porta la croce di Gesù sul suo abito, quindi questo ci fa pensare di offrirgli il nostro male».
Quando apprese che la madre aspettava un altro bambino (l’ultimogenito, Évrard), cercò di evitare ancora di più i lamenti. Spesso il pensiero della morte la prendeva e ne aveva paura: allora la mamma l’incoraggiava ad offrire quell’ultimo sacrificio a Dio.
Nel frattempo, la malattia le produsse una macchia in uno dei polmoni. Grosso modo in quel periodo, la madre venne a sapere delle presunte apparizioni mariane a San Damiano Piacentino, in Italia: ci andò con la bambina nel luglio 1968.
Verso la fine delle vacanze, anche l’altro polmone fu colpito; pochi giorni dopo, compirono il terzo e ultimo pellegrinaggio a Lourdes. Delphine, benché non amasse tanto bagnarsi alle piscine, lo fece volentieri, a patto che l’infermiera che l’accompagnava si confessasse.
Non poteva più correre come un tempo: con le sorelle e le amiche, ripiegò su giochi d’immaginazione. Aveva continuamente la tosse e la febbre a quaranta, ma non si trattava di polmonite, come la mamma sperava. Venne quindi operata ai polmoni: aveva una sutura che andava dalla scapola fino allo sterno, con due drenaggi.
Poco tempo dopo, il medico mandò a chiamare i genitori: la massa tumorale era impossibile da estirpare, con metastasi al fegato e ai reni. Con un gesto disperato e senza consultare i medici, venne organizzato, dieci giorni dopo l’operazione, un altro viaggio a San Damiano. A due giorni dall’arrivo, Delphine fu presa da dolori e vomito, ma grazie alle preghiere dei suoi poté tornare a casa in treno.
Durante le vacanze di Pasqua, trascorse in montagna, volle provare a sciare, ma vacillava, quindi desistette. Dopo aver saputo che il giovane parroco del luogo non si era unito ai suoi familiari per la Via Crucis delle 15 del Venerdì Santo, esclamò: «Vedete, ho ragione ad offrire tutto per i sacerdoti!».
Dato che la sua respirazione era sempre più corta, fu precipitosamente riportata a casa: aveva un versamento pleurico. Non deglutiva più nulla, tranne acqua di Lourdes e di San Damiano, ed era sotto ossigeno.
Il 23 aprile 1969, sentendo che la fine era prossima, la madre le chiese se volesse ricevere il Viatico: la bambina si ribellò, salvo ripensarci l’indomani. Il sacerdote che accolse la sua confessione le chiese: «Delphine, offri le tue sofferenze?». «Sì, offro tutto!», rispose.
Mentre la madre scendeva al piano di sotto per riaccompagnare il prete, la piccola disse al padre: «Guarda la signora che mi offre da bere!». Sotto il suo sguardo stupito, ella deglutì per tre volte, come se stesse effettivamente bevendo.
Quando la mamma tornò da lei, le toccò la spalla. Delphine aprì gli occhi e le sorrise: «Ah! Tu! Finalmente...». Furono le sue ultime parole.
Il suo funerale, il 26 aprile, si svolse in un’atmosfera serena e luminosa, quasi a rispecchiare il modo in cui aveva affrontato la sofferenza e la vita.
A due anni dalla sua scomparsa, mamma Isabelle stese un memoriale dell’accaduto, pubblicato dalle Éditions Pierre Téqui nel 1971, con il titolo «Que mon “fiat” devinne “magnificat”!».


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2013-09-18

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