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Mario Di Giovanni Salesiano Coadiutore

Testimoni

Sparanise, Caserta, 25 febbraio 1941 – Fossano, Cuneo, 1 marzo 1983

Mario Di Giovanni era nativo di Sparanise, in provincia di Caserta. Rimasto orfano di padre a nove anni, entrò nel collegio retto dai Salesiani di Don Bosco a San Mauro Torinese. Aspirava a diventare sacerdote, ma, a causa di una malattia reumatica, dovette cambiare strada, consacrandosi a Dio come Salesiano Coadiutore. Svolse la sua attività presso gli istituti di Bra, San Benigno Canavese e Fossano, prevalentemente come capo di laboratorio meccanico. Fu molto apprezzato per la sua laboriosità e, allo stesso tempo, per la religiosità che aveva maturato alla scuola di don Bosco. Nella notte tra il 28 febbraio e il 1 marzo 1983, accorse in aiuto di due allievi, ma fu da loro ucciso a colpi di martello. Alla sua memoria sono stati dedicati il complesso dei laboratori di Fossano e un nuovo centro di formazione professionale a Saluzzo. I suoi resti mortali riposano presso il cimitero di Sparanise.



Figlio di Nicola Di Giovanni, carabiniere, e di sua moglie Eleonora, Mario nacque a Sparanise, in provincia di Caserta, il 25 febbraio 1941. In totale, la famiglia arrivò ad essere composta da cinque figli, la maggiore della quale, Carmelina, lasciò alcune note sull’infanzia del fratello cui era maggiormente affezionata.
Ad esempio, ricorda che Mario era spesso in compagnia di alcuni amichetti, coi quali irrompeva in mezzo ai mezzo ai coetanei che giocavano per strada. Le loro grida gioiose presto lasciavano il posto a processioni per gioco e a preghiere, che a Carmelina parvero presagi della scelta che il fratello avrebbe compiuto più avanti. Tuttavia, quando il padre tornava dal lavoro senza avergli portato una caramella, il bambino si arrabbiava con lui: allora la mamma lo redarguiva e lui si allontanava imbronciato. A parte questo episodio, era benvoluto e coccolato da tutti per il suo carattere aperto e gioioso.
Improvvisamente, il 29 giugno 1945, papà Nicola morì per cause di servizio. Mamma Eleonora cercò di educare da sola i figli, insegnando loro a distinguere attentamente tra bene e male, ma si vide costretta a rinunciare ad alcuni di loro. Il 29 giugno 1950, Carmelina e Mario ricevettero la Prima Comunione, e il 19 dicembre partirono per il collegio: l’una a Mornese, l’altro, insieme al fratello Sabino, a San Mauro Torinese.
Ai bambini la vita di collegio non pesava troppo, anche se Mario, che all’epoca aveva meno di dieci anni, soffrì per il distacco inevitabile. Tutti avevano buoni risultati e, ad agosto, tornavano a casa. I tempi erano cambiati, ma il ragazzo sembrava aver mantenuto l’interesse per la religione e voleva tenerlo vivo negli altri fratelli: la domenica, ad esempio, chiedeva loro di ripetergli il Vangelo del giorno, così da essere certo che avessero partecipato alla Messa. Se non ci riuscivano, per distrazione o perché invece di essere andati in chiesa erano stati a vedere la vasca dei pesci rossi alla stazione, li rimproverava chiamandoli “testa di cavallo”.
Un altro motivo di discussione sorgeva quando il fratello Antonio, che aveva iniziato a lavorare in fabbrica, esprimeva con forza le idee che gli erano state insegnate: i litigi tra lui e Mario, agli occhi divertiti dei fratelli, somigliavano a quelli tra don Camillo e Peppone.
Dalle lettere di mamma Eleonora sappiamo che, nel 1953, Sabino aveva deciso d’intraprendere la scuola d’avviamento professionale, per lavorare come elettromeccanico. Mario, invece, aveva un altro progetto: frequentare le scuole medie e, in seguito, diventare prete tra i Salesiani di Don Bosco. Una malattia reumatica, tuttavia, glielo impedì, ma volle essere lo stesso inserito nella Famiglia Salesiana come Coadiutore, alla stregua di quei primi giovani, rimasti all’Oratorio per compiere quello che, a detta del fondatore, i sacerdoti non potevano fare.
Nel 1959, quindi, Mario entrò in noviziato a Monte Oliveto di Pinerolo. Dimostrò presto una versatilità che sorprendeva i suoi educatori, passando dal compito di calzolaio dei novizi a quello di suonatore nella banda, da comparsa negli spettacoli teatrali a tecnico dietro le quinte. Ad animarlo era di sicuro la riconoscenza verso la madre, ma anche un impegno concreto e una decisa devozione alla Madonna.
Il 16 agosto 1960 compì la sua Prima Professione religiosa, dopo la quale seguì il corso di Magistero presso il Rebaudengo di Torino dal 1960 al 1963, anno in cui rinnovò i voti a Pinerolo e iniziò a lavorare come vice capo di laboratorio nell’Istituto di San Benigno Canavese. Infine, il 30 luglio 1966, a Peveragno, si consacrò definitivamente a Dio nella Congregazione Salesiana.
Successivamente, dal 1972 al 1976 fu a Bra e, dal 1976 al 1978, nuovamente a San Benigno, con le attività di insegnante ed istruttore di Meccanica, incaricato della disciplina e responsabile a tutti i livelli.
Il 14 aprile 1978 venne raggiunto dalla notizia della morte di sua madre. Quando convocò uno studente la cui pagella non era molto lodevole, invece di rimproverarlo aspramente gli disse che aveva una mamma bravissima che lo seguiva e che anche la sua lo fu: mentre la ricordava, l’allievo vide che gli spuntò dagli occhi una lacrima di commozione.
Nell’autunno 1978, Mario arrivò all’Istituto Maria Ausiliatrice di Fossano, in provincia di Cuneo. Anche lì s’impegnò per i suoi ragazzi, insegnando loro la precisione nel lavoro, che doveva essere vera espressione dell’uomo e rivelare la sua individualità. Lui stesso ne era consapevole: dopo le lezioni restava per ore in laboratorio e, di notte, lo si poteva trovare intento a correggere i compiti e a progettare nel suo ufficio.
Durante gli anni del suo servizio, la scuola passò a diventare Centro di Formazione Professionale, garantendo a tanti giovani la possibilità di prepararsi al lavoro cristianamente inteso. Nel 1979, grazie a lui, l’officina venne completamente rivoluzionata, così da essere pronta a produzioni ancora migliori. Una delle qualifiche rivestite da lui a Fossano fu quella di “consigliere”, ovvero una figura col compito di sorvegliare i giovani e suggerire loro come correggersi.
Il 23 febbraio 1983 era una giornata di lavoro come tante, almeno finché due allievi si misero a litigare tra loro: Mario, al vederli, intervenne subito, in nome del suo servizio ma anche per il loro bene. La sera stessa, uno di quei due lo mandò a chiamare, per aiutarlo a soccorrere l’altro che si era sentito male. Il coadiutore si chinò sul giovane, ma venne raggiunto da una martellata, seguita da altri colpi. Accasciandosi al suolo, la sua prima reazione fu un’invocazione e una domanda: «Madonna mia... che cosa fate?». Immediatamente dopo, conscio di essere prossimo alla morte, dichiarò ai due: «Io vi perdono». Gli aggressori lo lasciarono agonizzante a terra; tre ore dopo, tornati a controllare se fosse morto, gli sfigurarono il volto con del fuoco.
Il ricordo di Mario Di Giovanni non è venuto meno nel tempo: il 30 gennaio 1998, il complesso dei laboratori del CNOS-FAP di Fossano è stato intitolato a lui, come, il 7 dicembre 2010, una sede distaccata del centro fossanese situata a Saluzzo, in provincia di Cuneo.
Inoltre, nel 2008 venne pubblicato, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua morte, il volume «L’altra metà di don Bosco», in sua memoria, ma anche per onorare l’impegno di tanti altri Salesiani Coadiutori. Cinque anni dopo, il 1 marzo 2013, si è invece svolto il convegno «Mario Di Giovanni. Una vita, Una croce», presso l’Istituto Salesiano Sacro Cuore di Maria di Caserta.
Le sue spoglie riposano presso il cimitero di Sparanise.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2013-12-03

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