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Padre Silvestro Landini Gesuita

Testimoni

Malgrate, Villafranca in Lunigiana, Massa Carrara, 1503 - Bastia, Corsica, 3 marzo 1554


Silvestro Landini nacque nel 1503 a Malgrate, piccolo borgo oggi nel comune di Villafranca in Lunigiana. Probabilmente fu figlio di Paolo, un cortigiano minore dei marchesi Malaspina, e fratello di Angelica, moglie del marchese di Treschietto Antonio Malaspina, membro di un ramo collaterale della famiglia. Educato dalla madre e da un parroco locale, ritenuto “di sufficienti lettere” fu ordinato sacerdote  nell’estate del 1527. Nel 1540 a Parma sotto la guida dei padri gesuiti Pietro Favre e Diego Laínez fece i suoi primi esercizi spirituali. Il Favre è stato canonizzato nel 2013 da Papa Francesco. Nella primavera del 1547, reduce da un periodo di cinque anni a Malgrate, si trasferì a Roma presso la chiesa di Santa Maria della Strada, dove iniziò il noviziato gesuita.
La sua insofferenza caratteriale determinò difficoltà di rapporti con sant’Ignazio e una crisi probabilmente accompagnata da una grave malattia. Subito dopo la guarigione padre Silvestro fu inviato nella sua terra natia a ritemprarsi e la sua accettazione nella Compagnia fu sospesa: lacerato dal dubbio, nel giugno 1547 lasciò dunque Roma per la Lunigiana. Durante il viaggio, durato ben tre mesi, inviò nove lettere a sant’Ignazio, onde informarlo del suo operato e manifestargli il suo pentimento circa l’atteggiamento tenuto. Anche grazie all’intercessione di padre Pietro Codacio, il Landini ottenne il perdono e l’ammissione.
Nell’autunno del 1547 padre Silvestro era in Val di Magra e sino all’ottobre 1548, in seguito alla decisione del vicario generale locale di conferirgli ampi poteri nella sua giurisdizione, operò in particolare nella vasta diocesi di Luni e Sarzana. Dopo un nuovo periodo trascorso a Roma e poi a Foligno e Spoleto dall’ottobre 1548 al maggio 1549. Fino all’estate del 1550 il Landini percorse la Garfagnana fiorentina, lucchese, estense, soffermandosi nel contado bolognese e nelle aree collinari e rurali delle diocesi di Lucca ed in particolare di Modena, per dirigersi poi nuovamente verso la Lunigiana.
In questi anni ebbe a confrontarsi spesso con posizioni eretiche, risolutamente stigmatizzate nelle sue omelie. In particolar modo concentrò i suoi sforzi a Malgrate, Casola e Fivizzano per buona parte del 1548. Durante il secondo viaggio di ritorno in patria, nel territorio di Massa, confutò un predicatore che screditava il culto della Vergine Maria e, nell’estate 1549, affrontò in un dibattito dottrinale il medico del castello estense di Camporgiano, seguace di Lutero: scontri aspri, che non mancarono addirittura di mettere a repentaglio la sua vita. Anche durante il lungo soggiorno modenese padre Landini fu determinato nel segnalare le posizioni filoprotestanti al vescovo Egidio Foscarari, che accompagnava durante le sue visite apostoliche.
Si dedicò completamente alle visite, avendo così un rapporto diretto con le popolazioni, alle quali proponeva i suoi sermoni nei luoghi pubblici, convertendo ed amministrando di persona i sacramenti, indaffarandosi nella promozione di forme caritatevoli e penitenziali, riformando o fondando ex novo monasteri femminili. Mise a punto un’efficace strategia di intervento sui rituali collettivi delle numerose comunità visitate e pose buone basi per una penetrazione profonda degli insegnamenti della Chiesa. Padre Silvestro era permeato da un forte ideale di Chiesa primitiva, alimentata nel fervore del sacramento eucaristico accompagnato d all’accostarsi costantemente al confessionale. Nella predicazione applicava la prima settimana degli Esercizi Spirituali ai fedeli di interi paesi e regioni.
I membri delle Compagnie del Santissimo Sacramento, da lui fondate in gran numero in varie zone della Garfagnana, lo affiancarono in questa azione capillare sul territorio. Controllava la presenza e la buona conservazione dell’Eucaristia nelle chiese, la pratica sacramentale tra i fedeli, la diffusione della dottrina cristiana tra i bambini e la conoscenza mnemonica delle preghiere. In breve tempo Landini divenne il primo grande missionario popolare della Compagnia di Gesù in Europa e combatté efficacemente fenomeni spesso radicati anche tra le fila del clero secolare, come la bestemmia, la superstizione, il concubinato, la bigamia e l’usura. Fu capace di comporre le liti e le faide che insanguinavano l’Appennino tosco-emiliano, caratterizzato a quel tempo da una forte conflittualità sociale. Nel luglio 1549 a Careggine, terra modenese appartenente alla diocesi di Lucca, padre Silvestro riuscì a moderare lo scontro tra due fazioni, già causa di decine di morti, che non si era arrestato nemmeno di fronte all’autorità ducale. Nella primavera del 1552 i governanti della Repubblica di Genova, informati dal governatore della Corsica riguardo alle pessime condizioni morali e materiali degli abitanti dell’isola, ottennero dal papa Giulio III l’intervento del Landini. Dal settembre 1552 vagò lungo la costa e l’entroterra toscani passando per Pisa e Livorno, dove, sollecitato dall’arcivescovo genovese Girolamo Sauli, proseguì la sua opera di riforma e conversione. Solo il 16 novembre successivo si imbarcò per la Corsica, insieme al padre portoghese Manuel Gomez. Un breve papale gli aveva conferito la dignità di visitatore e commissario apostolico. Una violenta tempesta costrinse i due a fare sosta sull’isola di Capraia, dove rimasero poco più di un mese, dedicandosi anche lì all’attività missionaria e favorendo la costruzione di un muro per frenare le scorribande del corsaro turco Dragut. Giunsero finalmente a Bastia il 22 dicembre 1552. Padre Silvestro si insediò nel locale convento francescano e iniziò a svolgere un’incessante attività di predicazione e amministrazione dei sacramenti che, escluso un altro breve soggiorno a Capraia nel luglio 1553, perdurò sino alla sua morte. Il grande seguito popolare raggiunto in città e nella campagna circostante e il suo atteggiamento zelante gli meritarono ben presto l’ostilità del clero corso, al tempo corrotto e geloso dei suoi privilegi, che nell’estate 1553 mandò a Roma alcuni rappresentanti onde accusarlo di eccessivo rigore e abuso dell’autorità apostolica. Incitato dal cardinale Marcello Cervini e deciso a difendere l’onore della sua Compagnia, sant’Ignazio inviò allora in Corsica B. Romeo per osservare e riferire sull’operato del confratello missionario.
L’ampia relazione che ne scaturì evidenziò l’infondatezza delle accuse nei suoi confronti e la grande ammirazione da lui conquistata presso le autorità secolari e gli abitanti dell’isola, che definiva significativamente la “sua India”. La capacità di osservazione, unita all’alone mistico-profetico di cui si circondava e all’intervento ancor più marcato sulle credenze e sull’immaginario popolare, sembrano caratterizzare la sua figura nell’ultima parte della vita e giustificare il suo straordinario ascendente sui fedeli. Nell’agosto del 1553 il religioso non abbandonò i suoi fedeli nemmeno nel momento sanguinoso dell’assedio tramato da Dragut, spalleggiato dalle armi turche e francesi.
Nei primi giorni del febbraio 1554 padre Silvestro cadde infermo e morì a Bastia il 3 marzo successivo. Le sue reliquie furono subito oggetto di venerazione ed il suo ricordo divenne leggendario. Nel 1612 fu avviato nella città corsa il processo per la sua canonizzazione, poi purtroppo sospeso e finora mai più portato a termine. Nel borgo nella natia Malgrate una piccola via è dedicata alla sua memoria.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2014-11-01

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