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Shahzad Masih e Shama Bibi Sposi e martiri

Testimoni

+ Pakistan, 4 novembre 2014

Shahzad Masih e Shama Bibi (26 e 24 anni) avevano quattro figli. La donna era incinta. Sono stati accusati di blasfemia: almeno 400 persone li hanno sequestrati, percossi e gettati nella fornace per mattoni.



“Una barbarie, un atto disumano che resterà scolpito a lettere di fuoco nella storia del Pakistan”: l’avvocato cristiano Mushtaq Gill è ancora sotto shock per il tragico episodio avvenuto in un piccolo villaggio del distretto di Kasur, a Sud di Lahore, la capitale del Punjab pakistano. Il 4 novembre, due coniugi cristiani, Shahzad Masih e Shama Bibi (26 e 24 anni) sono stati sequestrati, torturati e arsi vivi da un folla di musulmani che li accusavano di aver bruciato pagine del Corano, dunque di aver commesso un imperdonabile atto di blasfemia.   L’avvocato Gill, impegnato a difendere molti cristiani pakistani, vittime di false accuse e ingiusti processi – fa parte anche del pool di legali che ha difeso il noto caso di Asia Bibi – è stato uno dei primi testimoni oculari dell’accaduto. Convocato da alcuni cristiani del luogo, in men che non si dica si è recato ieri stesso sul posto, ad ascoltare direttamente con i presenti, a parlamentare con la polizia locale, a portare la solidarietà concreta alle famiglie dei due coniugi, affrante e annichilite.
Nel dettagliato racconto reso a Famiglia Cristiana, Gill ricostruisce la vicenda: “Domenica scorsa, 2 novembre, è deceduto Nazar Masih, padre di Shahzad. Shama, ripulendo l’abitazione dell’uomo, aveva preso alcuni oggetti personali, carte e fogli del defunto, ritenuti inservibili, facendone un piccolo falò. Secondo un uomo musulmano che ha assistito alla scena, in quel rogo vi sarebbero state delle pagine del Corano. L’uomo ha quindi sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla di oltre 100 persone ha preso in ostaggio i due giovani, tenendoli  per due giorni in un stanza della fabbrica di mattoni dove lavoravano e torturandoli”.   Intanto, prosegue Gill, nella moschee dei villaggi si diffondeva l’appello contro i due blasfemi. La mattina del 4, il tragico epilogo. “Oltre 400 musulmani inferociti, sull’onda dell’emotività religiosa  istigata dai leader locali, hanno preso i due giovani, li hanno colpiti con violenza, fratturando loro gambe e braccia. Poi li hanno spinti nella fornace usata per cuocere i mattoni di argilla”.
Tardivo l’intervento della polizia e delle autorità. Avvisati da altri cristiani, gli agenti hanno solo constatato il decesso e fermato , per un primo interrogatorio, oltre 40 persone, incluso il proprietario della fabbrica. Mentre il primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif ha creato una speciale commissione per indagare rapidamente sui fatti e procedere a formalizzare accuse e arresti.   Lo sdegno e l’amarezza è alle stelle: “E’ un crimine che dimostra quanto sia aumentata in Pakistan l'insicurezza dei cristiani. Una semplice accusa è sufficiente per essere vittime di esecuzioni extragiudiziali. Vedremo se qualcuno sarà punito per questo omicidio”, nota Gill.
Tra i sacerdoti cattolici che oggi si sono recati personalmente in loco, vi è il domenicano James Channan, Direttore del “Peace Center” di Lahore, centro studi impegnato nel dialogo interreligioso. Per lui “l’orribile esecuzione offende la giustizia, i diritti umani, la dignità umana, la civiltà, ed è contrario allo stato di diritto”, ha detto all’agenzia vaticana Fides.   Per questo oggi a Lahore organizzazioni cristiane e gruppi della società civile hanno manifestato per la giustizia, per la legalità e per il rispetto dei diritti umani. I dimostranti chiedono un intervento di una apposita commissione Onu per compiere un esame obiettivo sulla legge di blasfemia, sulla sua strumentalizzazione e sulle conseguenze. “Se questa legge non sarà fermata e corretta, vi saranno altri incidenti e tragedie come questa”, ammonisce padre Channan.   Concorda su questo punto Amnesty International che, invitando le autorità pakistane ad “assicurare alla giustizia i responsabili dell'uccisione della coppia cristiana accusata di blasfemia”, definisce l’omicidio “solo l'ultima manifestazione della violenza che chiunque può subire in Pakistan dopo un'accusa di blasfemia”.
Secondo Amnesty, “le leggi sulla blasfemia violano le norme del diritto internazionale e i diritti umani e devono essere riformate con urgenza, provvedendo a una efficace salvaguardia contro il loro abuso, fino a una eventuale abrogazione”. L’Ong domanda al governo di Islamabad di “affrontare la violenza compiuta in nome della religione” senza garantire l’impunità ai colpevoli.   Una “inchiesta imparziale”, ma nessuna citazione della famigerata “legge nera”, invece, nelle parole del Consiglio degli Ulema del Pakistan. Muhammad Tahir Ashrafi, presidente del Consiglio, condanna la violenza, esprimendo “profondo dolore per l'incidente”, ma scarica le responsabilità “sulla negligenza della polizia”. Gli ulema hanno comunque formato un apposito comitato che intende contribuire a “portare alla luce i fatti”.


Autore:
Paolo Affatato


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2015-06-24

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